29 dicembre 2013

Racconto di Natale.

Ora scriverò un racconto, che è una storia vera, una storia di Natale.
La scrivo perché questo posto è un refugium peccatorum, un antidepressivo, uno specchio dell'anima, una resa dei conti. Perché questo posto è un punto di domanda e nessuna risposta.
Perché è la mia palestra, il mio diario, e -soprattutto- la mia memoria.

Questa storia parla di Nonna Oroscopo, ma non dovete immaginarvela com'è adesso, con gli occhiali da sole fucsia, gli stivali di gomma verde e l'autocarro pieno di peli di cane.
Dovete immaginarvela Bambina, a sette anni, con lunghe trecce bionde e gambe secche, con una gran voglia d'indossare degli stivali troppo piccoli per andare nella neve e nessuna intenzione di ammettere che non riesce più a camminarci.
Dovete immaginare un paese al confine, più di 50 anni fa, con campi imbiancati e boschi estesi dietro gli orti.
Dovete immaginarvi anche che manchino pochi giorni a Natale.
Ci siete?
Pronti?

La Bambina, dicevamo, ha circa sette anni e una gonnellina scozzese sulle gambe, nude anche a Dicembre, perché le lunghe calze di lana si allentano facilmente scendendo al ginocchio.
Lei non ci fa caso e le riacchiappa tirandole su con gesto abitudinario.
Suo padre è alto, con una giovane barba castana e occhi nocciola sotto le ciglia.
E' un padre bellissimo, nessuno ne ha uno così.
Camminano lungo il sentiero, nella neve alta.
Nell'eccitazione della gita Bambina, che porta il 32 di piede, non sente ancora la stretta degli stivaletti numero 28.
Ma ha già percorso più di tre kilometri lungo la strada principale, dove c'è solo fanghiglia e dai tetti delle case salgono i rivoli di fumo delle stufe.
Solo adesso lasciano il paese alle spalle, imboccando un sentiero attraverso i campi.
Bambina e suo padre non parlano, il solo suono è il passo sordo dei loro stivali nella neve alta o il tonfo rado di un peso che piomba dai rami giù sulle rive.
Non esistono pini in questa radura, verranno solo tra molti anni, trapiantati da chissà chi e poi moltiplicati.
Oggi, in questo Dicembre degli anni Cinquanta, ci sono solo tigli spogli, betulle dai tronchi squarciati di nero e acacie. Molte acacie.
Lui si volta a guardarla e la vede massaggiarsi le gambe, sbuffare rossa come una mela sulla tavola di Natale.
Tu resta qui, io vado a cercarlo. Torno presto, hai capito? non muoverti per nessuna ragione.
Bambina guarda il giaccone sparire nel bosco.
Certo, se avesse lo slittino con sé il tempo passerebbe più in fretta.
Si arrosserebbe le ginocchia nella neve scivolando giù da quella riva, vah che bella. Un vero spreco.
Bambina ha uno slittino vecchio, con le lame consunte. Non che gli altri bambini abbiano di meglio: tutti così, sulla stessa barca. Almeno son pari quando fanno le gare.
Bambina abbozza un pupazzo nell'attesa: un paio di bacche per gli occhi, una foglia fradicia per il sorriso. Manca poco, ora arriva. Ne avrà trovato uno bellissimo, grande, da riempire di mandarini, campanelli e arance essiccate sulla stufa.
...adeeeste fide-e-les...la-la-la-la-la-laaaa... - canticchia - la maestra la sa bene, conosce il latino.
Guarda lì che bel passero, grasso come un tordo.
Intanto sul campo, lentamente, scende l'ombra.
Nubi compatte chiudono il cielo, più tardi ricomincerà a fioccare e forse l'indomani mattina, dopo la Messa, Bambina scenderà lungo il fiume a sfidare gli altri nella neve fresca.
Se ora si volta indietro non si vedono case, solo i ricami neri delle siepi tra i campi e la tenda scura del bosco tutto intorno.
Adesso torna, fa quasi buio.
Urca come stringono 'sti stivali. Se sfrega i piedi li sente bruciare.
Prova a saltellare sul posto, ma le gambe sono rigide, le piante dei piedi trafitte da spilli ad ogni balzo.
Si ferma, porta le mani nude alla bocca, al vapore caldo dell'alito che si condensa nell'aria.
Gioca con gli sbuffi una, due, tre volte.
Il cielo è diventato grigio come il fondo di una pentola.
Forse non torna. Oddio, forse non torna.
Forse è caduto e sta laggiù disteso sul fondo di un precipizio nel cuore della Val Grande, magari la sta pure chiamando e grida aiuto. Bambina tende l'orecchio.
Forse rimarrà lì per sempre, come le ha detto lui, non muoverti per nessun motivo, e l'indomani sarà un pupazzo di neve, con le trecce lunghe e gelide come stalattiti e le ginocchia di ghiaccio.
O forse le toccherà cercarlo, per ore ed ore, per poi  tornare a casa da sola e disperata, e lui non arriverà neanche per Natale.
Se lui non tornasse, Dio se lui non tornasse.
Bambina sente gli occhi riempirsi di lacrime, lei che non piange mai.
Neanche quella volta che il figlio dei vicini l'aveva presa in giro.
Lei, piccola com'era, gli aveva stampato uno schiaffo duro sulla guancia, e lui -il vile- era andato da sua madre. Le aveva prese, naturalmente. Solo il nonno, al momento di metterla a letto, aveva chiesto a Bambina "ma perché lo hai fatto?".
Il nonno, ah se ci fosse il suo nonno. Forse dovrebbe correre a casa ad avvisarlo, andrebbero insieme a cercarlo, lì nel nero del bosco o sul fondo del precipizio.
Oddio, il precipizio. 
Qui è tutto buio papà, sento freddo papà, sali dal burrone papà, vieni a prendermi.
Si asciuga le lacrime col dorso della manina e trema perché un'arietta gelida  s'è già alzata su dal campo, proprio verso di lei.
Si accuccia sulle ginocchia e soffia forte tra le mani.
Frrsscc. Frrsscc.
Alza la testa, non lo vede subito.
Nell'ultimo scampolo di luce la neve scricchiola via nell'aria, il vento freddo scuote una piccola bufera senza che attorno nevichi.
Poi lo vede, il giaccone. Lo riconosce d'un tratto nel turbinio della neve ghiacciata, tra fronde traballanti che lasciano cadere una pioggia fitta di cristalli.
Il giaccone, poi la barba con gli occhi nocciola e sulla spalla un ramo enorme, che striscia riverso a terra lasciando una scia di aghi e terra macerata.
Non dice nulla, Bambina con le labbra viola, quando lui si toglie il ramo dalla spalla e sollevandola se la mette in collo.
Ogni tanto lungo la strada -ancora scossa da piccoli singhiozzi- si volta a guardare il ramo che striscia alle sue spalle, nella mano forte di lui.

Il fuoco della stufa è troppo forte, scotta rovente sulla pianta dei piedini, rossi come peperoni d'estate. Bambina sente come se glieli incidessero di netto, con lame affilate.
Sua madre dice "dai qui a me" e la allontana dalla stufa.
Le sfila, pianissimo, le calze. Prende i piedi, nudi e ghiacci, si scosta il maglione e li infila sotto le ascelle tiepide e morbide.
Stanno lì così, per un tempo sonnolento e interminabile, mentre la stanza s'impregna di resina.

8 commenti:

Squa ha detto...

Meraviglioso
Non riesco a fire altro.
Tu le storie le sai proprio raccontare, accidenti!

serendipity ha detto...

e con questo ... finisci fra i miei preferiti ;)

Shaula ha detto...

ciao.
arrivo qui, indirizzata da squa.
mi ha detto leggi qui, ti piacerà.
e aveva ragione, perchè mi conosce da poco, ma bene.

che calore e quanta luce in questa piccola storia di bosco, gelo e buio della sera.
un abbraccio a quella bimba nel bosco.
e buone calde feste.

SuSter ha detto...

Ricordo bene la sensazione di terrore e angoscia dell'abbandono quando si è piccoli, e si dipende in tutto e per tutto dagli adulti.
Racconti come questo mi procurano una fitta al cuore. E il tuo modo di raccontarlo è degno di un Cecov o di un Verga... Molto bello davvero.

pera ha detto...

grazie per questo brivido.

Susibita ha detto...

Ciao volevo ringraziarvi tutte per i complimenti fin troppo generosi.
Scusate ma in questi giorni non mi sono collegata in rete ma ho letto i vostri commenti e mi hanno fatto tanto piacere =).

Susibita

Lisa ha detto...

Bellissimo! Descrizioni vivide, reazioni e pensieri in cui immedesimarsi come una seconda pelle... Per un momento interminabile ho temuto il peggio: ma dov'era andato tuo nonno?!

Susibita ha detto...

lisa: a prendere sto 'cazz di ramo o albero nel fitto del bosco, ma siccome di pini ce n'erano pochi ai tempi ci ha messo un po' a scansire il bosco e trovarne uno a cui prendere un ramo.