4 luglio 2018

Comunque, volevo dirvi (lettera ai noi del '95).

Hei voi due.
Dico a voi.
Che state a bordo di quel campo, che vi sfiorate le punte dei capelli, appena appena.
Volevo dirvi.
Che quella cosa lì che sta per succedervi: di leggervi su libri diversi, di stare per baciarvi, di scrivervi a matita, di Kurt Kobain che muore e Wonder Wall che ancora non l'avete mai sentita. D'imparare Dante e dimenticar Manzoni, di sentirvi soli, ed unici, impotenti e prepotenti.
Quella cosa qui del vado via 3 giorni con i miei e quella del gioco duro e sporco dei professori dentro al liceo giallo, quella del che fai oggi, io niente studio c'ho mate, quella cosa dell'aspettarvi nel sabato pomeriggio, di  Gilgamesh e dell'elmo di Ettore.
Tutte quelle cose bellissime e inutili, effimere e indispensabili.
Quelle, passano.
Lasciano segni, spargono memorie, formano teste, ma passano.
Ad esempio quell'altra cosa stranissima che state per fare, di risplendere sotto il portico del municipio come solo due ragazzetti che giocano all'amore dei grandi sanno fare.
Pure quella passa.
[Che mica puoi pensare di risplendere per sempre: e sticazzi. Se ti va bene ti capita una notte in tutta l'esistenza, intorno ai 15 anni. Il resto è vita].


No io dicevo quell'altra.
Quell'altra cosa.
Quella, davvero rara, di avvicinarvi piano pianissimo.
Sembra quasi che fate per finta, che fate per gioco.
Quella cosa di temervi, fottutamente impreparati.
Quella d'incazzarvi, visto che amate. Altrimenti che amate a fare?
Quella di perdonarvi, dannazione.
Di aspettarvi quando gli altri sono già tutti a casa.
Soprattutto, questa cosa di essere un po' meno soli, mentre diventate adulti.
Volevo dirvi.
Ecco questa cosa qui, invece, resta.

Parrebbe che funziona.
Ancora.
Per ora.