22 dicembre 2015

quest'anno.

Ancora poche ore, poi quello che voglio è andare nel bosco, tutti i giorni.
Raccogliere legnetti per la stufa, lasciar correre il cane.
Imbrattarmi gli stivali di fango, riempire le tasche dei bimbi di ghiande e un sacchetto di pigne.
Tagliare un rametto di pino verde che sappia di resina, che quello sulla capanna nel presepe s'è già afflosciato.
Farmi seguire dalla gatta finché ne ha voglia (sì, abbiamo una gatta. È mezza selvatica, una vera stronza. Vive solo nel giardinetto davanti e Arturazzo la tollera. No ok: la subisce. Sono riuscita a farla operare e ora si lascia accarezzare. Quando esco a piedi, mi segue finché ne ha voglia).
Ho impacchettato i regali, non moltissimi.
La cosa più bella è stata andare nella mia libreria preferita e prenderli lì quasi tutti.
Cucinerò qualcosa, non moltissimo.
Voglio dei giorni normali, ma senza lavoro o quasi e con tanto, tantissimo di Lui.

Voglio amare, rispettare, voglio benvolere tutto quello che sto costruendo riga su riga, pigna su pigna, notte su notte, corpo su corpo.


14 dicembre 2015

però mia.

Io sono quella dell'ansia, immagino si fosse capito.
Quella che non dorme per tre notti perché deve fare una certa cosa, e in quelle tre notti si fa il film di come quella cosa andrà molto male, e causerà irreversibili danni al precario equilibrio inter-familiare, al buco nell'ozono e alla pace nel mondo.
Poi all'alba del terzo giorno, quando come da prassi l'ansia viene sostituita dall'attitudine stigrancazzi, succede che quella cosa che dovevo fare non si fa//non è più necessaria/l'ha detto Paolo Fox/l'ha detto il Giudice Santilicheri e quindi niente, ho perso 3 notti di sonno per Laqualunque.

Ecco io sto più o meno allo stesso punto in cui stavo qualche mese fa, forse impercettibilmente più avanti perché mi sembra di essere un pochino più rapida nelle mie reazioni. In fondo 3 notti sono pur sempre meglio di 6.
Comunque davvero, ci sto lavorando.
Mia madre quando mi sente al telefono che ansimo mi vuole dare le goccine ma io no, io le goccine non le voglio, io sono più forte della mia ansia.
Io c'ho un blog, cazzo.

Sarei tentata di scrivere di quanta ansia da prestazione mi mette il lavoro in questo periodo e pur tuttavia parlerò delle lettere a babbo natale.
Al laboratorio a scuola stavo sistemando le lettere dettate dai bimbi alle maestre.
Chiaramente ho spiato quelle dei mie due, che li rispecchiano moltissimo:

Lettera del biondino:
Vorrei tanto i lego star wars coi cloni blu con la mitraglietta.
E basta.

Lettera di Nina:
Vorrei tanto:
una bambola
no una spada laser
un passezzino per i miei bimbi
no apetta un trenino, ma ze l'ho zà
vabbè una macchinina.
e un aereoplano.

Ma la più bella di tutte era quella di Mahmud, tunisino, coetaneo e amico del Biondino:

Vorrei tanto una bicicletta.
Però mia, non la vecchia di Mohammed.

E' per cose come questa, che la mia ansia diventa stigrancazzi.


3 dicembre 2015

Qualcosa mi sfugge.

Abbiamo conosciuto la nuova baby-sitter, l'ho invitata per un tè per presentarci e farle prendere confidenza coi bambini.
Lei è stata molto carina: universitaria, giovane ma non ragazzina, dolce senza essere sdolcinata, ferma eppur gentile.
Lui, esagitato come solo un timidissimo può essere, ha fatto cadere una mensola coi suoi quadretti.
Ha saltato sul divano in preda a una crisi di stupidera.
Ha lasciato il tavolo coi biscotti da lei gentilmente offerti senza ringraziare.
Ripreso, ha bofonchiando con la bocca piena come solo un timidissimo e maleducatissimo sa fare.
Ha lanciato giocattoli, di nuovo preda della stupidera, persino più fosca se possibile.
Sgridato e imbarazzato di fronte a un'estranea ha reagito come solo un timidissimo e molto avventatamente sciocco può fare: ha sparato il tappo del vino con la sua balestra di bambù a 20 cm dal mio naso.
Trascinato infine nella sua stanza e ivi lasciato a macerare nella colpa, lo si è sentito per i successivi 20 minuti inneggiare all'odio verso la genitrice, megera colpevole di non capirlo.
Per quei 60 minuti di breve e tragica conoscenza, un Biondino impazzito ha dato più o meno inspiegabilmente il peggio di sé.
Negli ultimi 10 la piccoletta, contagiata dal fratello, ha acceso la tv 20 volte: tutte successive alle 20 in cui gliel'ho spenta. Vista la disfatta, s'è buttata a terra e ha dato sfogo al suo miglior repertorio di urla.
Poco dopo la ragazza ha imboccato il vialetto sorridendo incoraggiante e sventolandomi la mano "a domani!".

Col cazzo, ho pensato.
Questa non la vedo più.
E come darle torto.

Invece stasera sono tornata e li aveva entrambe accoccolati addosso, mentre lei leggeva loro il libro.
"Hanno anche apparecchiato tavola", mi ha detto.

Qualcosa mi sfugge.



25 novembre 2015

non vedo l'ora.

Al biondino posso chiedere di dare i croccantini al gatto, lavare bene i capelli a sua sorella sotto la doccia o sederle accanto sul pulmino.
La cosa bella del biondino è che lui ci metterà sempre del suo e preparerà pure un ciotolino con l'acqua, le passerà il sapone anche tra le dita dei piedi, o la cingerà col braccio una volta seduti.
Ancora ci si chiede cosa mai c'abbia quella per meritarsi uno così, ma vabbè.
Il Biondino è DAVVERO cresciuto, e io non riesco ancora a decidermi se ciò sia meravigliosamente stupefacente o irreversibilmente terribile, ma temo entrambe.

Nina è tutta negli occhi tondi sotto la frangetta e nella bocca grandissima.
Voi non ne avreste il sospetto, a guardarla così com'è nel grembiulino rosso dell'asilo che pare un'illustrazione di Capuccetto Rosso re-incarnata, ma da quella bocca grandissima esce ogni genere di abominio.
Nina è uno sforzo continuo di comandare, soggiogare o imporre, oppure in alternativa blandire, sedurre, adulare.
Che poi altro non è se non un modo più intelligente per comandare, ordinare o imporre.
Inoltre proprio questo pomeriggio l'ho sentita chiaramente dire "cazzo".

Ci sono giornate abominevoli.
Serate in cui sono talmente stanca che dal nulla scoppio a urlare forte, davvero troppo forte mentre loro mi guardano impietriti e confusi, chiedendosi probabilmente quale terrificante demone si sia mai impossessato della loro mamma.
Non potendo dirgli "mestruazioni" mi limito a scoppiare a piangere e a chiedere scusa frignando che devono stare buoni, chiudere gli occhi e lasciarmi andare a letto a leggere un libro, perdìo.
Ci sono giornate invece di cui sono grata.
Pomeriggi in cui leggiamo un po', sbocconcelliamo biscotti, cuociamo cose in forno, non c'interessiamo delle briciole sotto il tavolo, facciamo un puzzle e apparecchiamo tavola che ha fatto buio da poco.
In queste giornate andiamo a letto prestissimo e me li metto accanto, mentre di là i loro lettini restano intonsi.
In queste giornate non penso alle mail della mattina dopo, non ho la sindrome pre-mestruale, e mi registrerei tutto il tempo da tanto che sono una brava mamma, no sul serio: mi sembro una della pubblicità Pandoro Bauli però piccola, mora e pelosa.

da un po' di giorni siamo soli da troppi giorni.
ma tengo duro, sì, perché ora torna.
e allora ci saranno biciclette, e arance, e molto baci, e non aver paura ci sono io, e gambe lunghe sotto il piumone.
non vedo l'ora.







16 novembre 2015

normalità.

La normalità del fiato corto, del vetro appannato.
La normalità di mandarti un bacio, al di qua della finestra.
La normalità delle nostre voci al telefono, della loro pelle bambina.
La normalità di una corsa in bici, lui che grida chi è la lumaca ora, mamma?
Il profumo d'arrosto che esce dalle case, la domenica alle 11.
La normalità di amare e quella di litigare.
La normalità dell'ultima luce della notte, nella prima ora del giorno.
La normalità della musica sulla terra.
La normalità dei tuoi piedi in fondo al letto, degli asciugamani umidi in bagno.
La normalità delle tue dita affusolate, dei loro denti piccoli, splendidi tra le foglie accartocciate.
La normalità di questo taglietto qui, sul braccio.
La banalità dell'errore e quella del respiro.
La normalità del sangue caldo nelle arterie, del vostro cuore vivo.


Per tutto questo
io
ringrazio.




4 novembre 2015

La ragazza altalena.

a me a volte mi piglia questa rabbia sorda, questo mostro nero sulla spalla.
io lo odio.

le mie giornate per essere perfette dovrebbero essere fatte solo di questo posto qua fuori, le tane dei conigli proprio dietro la fermata e il grave dilemma delle lumache che m'han fatto fuori 3 piante di cavolo.
e invece.

le vostre giornate sono perfette?
ma soprattutto - secondo voi- che diamine c'entrano perfezione e felicità? e poi ancora: cos'è, in fin dei conti, questa felicità. e come la ottengo. e sarà proprio lei quella che cerco?
le mie giornate -ora in realtà va un pochino meglio, e parliamo di settimane- sono delle altalene.

Erano le 10 di mattina solo qualche giorno fa quando mi ha detto "c'è qualcosa che desideri di più? io no. sto bene così, precisamente." e io ho pensato hei. hei, gente. silenzio in aula, signori e signore. questo qui è uno di quei momenti da archiviare. questo qui è uno di quei momenti proprio uno di quelli che rischi di perderti, invece è proprio lui, quello che poi ti ripeschi in testa nel momento del bisogno, quello che - mesdames et monsieurs - fotografa la felicità, la cristallizza non in un vita, ma più saggiamente in un momento. In questo, momento. Concentrazione, ragazza. Alta concentrazione.

poi basta una telefonata, nel mio caso sono sufficienti 3 frasi e un tono, e puff - momento attenzione passeggeri, serenità a palate in arrivo, stasera si dorme andato. Via, out, raus, sayonara.
Il tono. Signori miei io potrei farci dei trattati sul tono.
Dicono che questo sia tipico di tante donne, ma sapere di essere una psicopatica in mezzo a molte non mi consola.
io spesso coi toni ci azzecco, ma mi levano anni di vita, ve lo giuro.
capace che imbastisco le peggio conclusioni del mondo su un tono.

"Eh però questa cosa non è stata gestita bene."
"Mi stai dicendo che non so fare il mio?"
"no, sto dicendo che questa cosa qui non è stata gestita bene."
allora è finita, eh? ecco. lo sapevo. la strada. il fallimento. il riscaldamento globale, la fame nel mondo, le cavallette.
"Ho capito. Le cavallette."
"Ma io non intendevo questo, non ho mai parlato di cavallette."

Tu no, ma IL TUO TONO sì.

La felicità sarebbe pure semplice. Sono io, il casino.
Che poi la felicità è sopravvalutata.
Quello che voglio io è la serenità, l'equilibrio.
Scendere dalla fottuta altalena.







19 ottobre 2015

L'apiculi, il ranocchio e la falena.

Nina ha un amico immaginario.
Non ve l'ho mai detto, ma si chiama Apiculi. O L'Apiculi. O anche Lapiculi. Non c'è dato sapere perché  Nina non sa fare lo spelling, però sappiamo che è a forma di pesce.
Sappiamo anche che Apiculi (o l'Apiculi, o Lapiculi) soffre di bipolarismo, o forse che in realtà e uno e bino perché ne esistono due versioni gemelle, ma molto diverse.
Uno è buono e vive con Babbo Natale, l'altro imbratta i muri di casa coi gessetti e vive con Babbo Natale Cattivo, oppure anche appollaiato con le streghe sugli alberi qua fuori dalla cucina.
Nina è una bambina pazza, viziata, prepotente e bellissima.
Lentamente ma inesorabilmente, ci sta fottendo tutti.

Magù è troppo grande per chiamarlo ancora Magù, ma ancora piccolo da raccogliermisi - a fatica- in braccio.
L'amore che provo per lui è spaventoso, tanto che bisogna che ne prenda le distanze a volte, e attendere che sia addormentato per baciarlo.
Perché non è un bene che un bambino conosca quanto profondo può essere l'amore di una madre, quanto spaventosamente grande.
Un bambino - mi dice qualcosa dentro - deve intuire la forza di quell'amore, non rimanerne schiacciato. Deve sondarne la grandezza, non esserne risucchiato.
Non so ancora come lo chiamerò, adesso che ha le gambe lunghe come un ranocchio.


Mia suocera qualche volta mi dice che non dovrei tirarli su senza spiritualità.
In realtà lei vuole dire senza religione, ma si confonde -credo- e di molto.
Io ho poca religione, ormai, e tiro le cose un po' a caso sul mio spirito.
Non so da dove venga, non so esattamente come parlargli.
Invidio le preghiere altrui.
Mi mette molto in pace ascoltare chi prega, i sussurri degli uomini soli con Dio.
Sarà per questo che non mi arrabbio quando sento che mia suocera mettendoli a letto gli fa fare il segno della croce. Loro, ridicoli, si segnano con la sinistra e fanno un gran gesticolare, ma ricordano i versi del Padre Nostro e le loro voci bambine hanno quel po' di sacro e d'inconsapevole che l'età non ha ancora violato.
A me non piace moltissimo non avere nessuno da pregare: penso sia una bella grana, in fin dei conti.
Però non è che si può scegliere di pregare solo per non avere grane, io credo.
Ascoltare la voce mia medesima poi, è senz'altro un grattacapo.
A volte però mi parte un pensiero laterale, tipo stanotte.
Stavo precipitando, no? e questo pensiero mi ha tirata su.
Il mio pensiero diceva così: che le decisioni sono mie e a molti o alcuni altri non piaceranno.
Che uno non fa scelte solo sulla base degli orari del treno, per dire qualcosa di oggettivo e terzo.
Uno le fa sulla base di qualcosa che ha dentro, il magma indefinito e non circoscrivibile delle proprie idee, delle proprie esperienze, dei propri ricordi ma soprattutto dei propri sogni.
Che dentro il mio corpo, e in special modo dentro la mia anima e  coscienza, ci sto io soltanto.
E che io- anche quando mi dibatto come la falena contro il vetro- lo so bene, cos'è che voglio.
Questo mio pensiero aveva l'aria di uno che sa quello che dice, così l'ho ascoltato.
E finalmente - senza dibattermi più- ho chiuso gli occhi e dormito.


9 ottobre 2015

Old friend, good friend.

Tu hai qualche problema, mi ha detto.
No, io ho UN problema, ho risposto io.
E questo mio problema è sempre lo stesso.

Mi spiego: io e Problema ci conosciamo da molti, molti anni.
Problema ha molte facce, ma un solo volto.
Il primo ricordo che ho di lui è una stanza gialla, a un festa di bambini, quando ancora vivevamo in Africa. Cercavo disperatamente mia sorella perché mia madre non c'era e questo era un grosso, grossissimo Problema. Qualcuno mi disse "gioca con gli altri, tua sorella è di là che si diverte" ma io non potevo. Io avevo un Problema.
Problema mi lasciò in pace qualche tempo - un tempo che ricordo infatti molto felice- ma appena tornammo in Italia mi toccò una classe di 29 bambini sconosciuti e una maestra d'altri tempi, e fu lì che incontrai di nuovo Problema.
A Problema piaceva molto travestirsi e cambiare nome.
Nel corso degli anni l'ho incontrato sotto le spoglie di Tabelline, Maestra M., Divisioni, compito di geografia su alta e bassa pressione.
Un giorno passavo per caso e c'aveva proprio la faccia di Papà che parte.
Qualche settimana dopo era Algebra,  Grasso e Peli Superflui, Geometria Descrittiva, Studio di Funzione.
Spessissimo Problema andava a braccetto con Giudizio.
A un certo punto, colta da un lampo d'intuizione, se a Problema piace moltissimo la matematica -pensai- mi dedicherò ad altro.
Problema cominciò quindi a parlare Greco Antico e Latino.
Genio.
Problema è stato anche Cambiamento, Soldi, Casa, Lavoro.
A un certo punto Problema è rimasto incinta.
Vi dirò, col tempo ho anche smesso di odiarlo, Problema.
A volte lo coccolo, mi fa quasi tenerezza.
Ecco io credo che qui stia il punto, il mio errore più grande.
Problema non è uno da coccole. E' uno che se lo lasci fare si prende tutto, lo stronzo.
Si prende le mie giornate al mare e le riempie di paura, si prende le mie notti e le riempie di angoscia, si prende la mia bellezza e la colma di dubbi.
Problema calpesta il mio tempo e lo insozza come uno straccio da niente.
Problema mi ha mentito per un sacco di tempo e per anni ho creduto a tutte quante le sue facce.

Problema a tratti ama stare al centro dell'attenzione, per brevi periodi sotto le luci della ribalta dà il meglio di sé ma in verità mi sono fatta l'idea che è nell'anonimato del tempo che cresce, che è dello sforzo d'ignorarlo che si alimenta.

Dunque io credo di aver un solo piccolissimo vantaggio, in questo momento, dopo ben 36 anni: che posso riconoscerlo.
Se mi sforzo, se mi concentro, se mi estraneo, lo vedo.
Magari non me ne accorgo subito, all'inizio mi sembra sia davvero un problema come un altro ma poi dentro di me un campanello squilla ed è allora che lo vedo - è lui- ci risiamo, è arrivato: Problema.
Ma se in quel momento non mi faccio prendere dal panico e resto salda a me stessa, se al posto di Paura faccio posto a Fiducia, se invece che quella palla al cazzo di Commiserazione lascio parlare Leggerezza, allora ho una possibilità di vederlo per quello che è: uno di quegli uomini bassi che si mettono i tacchi.
Problema, a guardarlo da vicino, dritto negli occhi, è piccolo.












23 settembre 2015

Pure io (sono stufa di dover rendere magica l'infanzia dei miei figli).

La mia amica F. mi ha consigliato questo articolo.
In sintesi, ve lo riassumo, la domanda che si pone l'autrice è: perché dovrei rendere IO magica l'infanzia di mio figlio? Non dovrebbe essere l'Infanzia stessa - date le condizioni essenziali di base, è inteso ( e talora, tragicamente e miracolosamente, pur mancando persino quelle)- a dover contenere dentro di sé la propria magia?
Ma soprattutto: la cosiddetta magia dell'infanzia ha veramente qualcosa a che fare con le nostre tovagliette abbinate della colazione? con la torre di pastelli a cera biologici-eco-friendly-vegan-homemade che produciamo in sole 3 ore e mezzo con i nostri pargoli?
Ha davvero a che vedere con i giochi e gli intrattenimenti creativi che allestiamo per e insieme a loro e che poi devotamente postiamo su laqualunque?
A cosa pensiamo di doverli sottrarre: tv? noia? atarassìa e dannazione eterna?
Non è stato forse - incalza l'autrice - dalle ore di noia più nera della nostra infanzia che sono nati i progetti più strampalati, inutili e invero geniali?
Com'è che i nostri genitori non giocavano mai con noi, non costruivano un cazzo per noi, non allestivano party a tema per noi ma abbiamo comunque ricordi di giornate intere di gioco, compleanni felici, idee spaziali?

Io ho spesso digitato "intrattenimenti creativi bambini al chiuso": avrei di quei blog da suggerirvi che non ve lo dico, tanto li conoscete.
Io ho fatto la pasta tipo pongo al bicarbonato.
Ho sciolto i residui dei pastelli a cera.
Ho disegnato con bocca, piedi, lingua, mani-gambe-e-piè.
Ho allestito teatrini.
Fatto piste per terra con lo scotch di carta, quello grosso.
Cucinato muffins con gocce di cioccolato, marmellata, fichi d'india, cazzi mazzi e trallallà.

Insomma a me questo articolo ha fatto pensare.

Non vi dirò che mia madre non ha mai giocato con me, ma sappiate che mia madre non ha mai giocato con me.
Mia madre, tornata dal lavoro, passava il prato, puliva il pavimento, passava i vetri, igienizzava il bagno, toglieva le erbacce, faceva la spesa, puliva il pavimento, asciugava il lavello, passava il tappeto. Se le avanzava tempo, puliva il pavimento.
Nei momenti di pausa metteva su un caffè, appoggiava la gamba destra sui mattoncini del camino e si accendeva un sigaretta. Qualche volta leggeva un giornale.
A mia madre, quando fumava, non le dovevi rompere i maroni.
Di lavoro, mia madre disegnava.
Non mi ha mai insegnato a disegnare. A me non lo ha mai insegnato nessuno - rispondeva, ogni qual volta glielo rinfacciavo.

Da mia madre, guardandola e senza fare mai un cazzo, ho imparato a:  pulire bene casa, impastare, mai fumare, vangare, curare gli animali, non schiacciare il caffè nella moka, osservare e amare la natura, mai rovinare un libro, al prete del paese posso rispondere - con rispetto - se dice qualcosa che ritengo 'na puttanata, se non ho rispetto la puttanata la sto facendo io, ammirare come le infermiere rifanno i letti all'ospedale e non abbassare sotto quella la soglia di qualità del mio giaciglio, leggere sempre prima di dormire.

Da me stessa, in tutte le ore in cui non dovevo rompere i maroni a mia madre, ho imparato a: succhiare il cono dal basso dopo aver mangiato il tappo di cioccolato, amare Jules Verne, progettare un maneggio fichissimo purtroppo mai realizzato (finora), fare un funerale a una formica, vestirmi con le pezze vecchie di mia nonna, sposare Barbie con Coniglio di Pezza, aggeggiare col mangiacassette di nascosto da mia sorella, ballare La Isla Bonita, andare sui pattini, pisciare dietro l'orto e guardare il rivolo scender giù, giocare a pallavolo contro il muro di nonna imitando bagher e urla strazianti di Mimi Ayuara, lobotomizzarmi davanti a Magica Emy.

Ora io non so voi, ma tra meno di un mese farà buio alle 5, loro saranno da poco tornati da scuola e mancheranno ben 4 ore alle 9.
Io pensavo di togliermi dalle palle e andare a piantare un po' di cavolo verza, che si sa mai.




21 settembre 2015

Oggi.

Noi viviamo in una paese, in provincia.
Per la precisione stiamo in una frazione in campagna, per cui per arrivare in paese bisogna prendere la macchina, scollinare e poi risalire: roba da 10 minuti, ma cerco comunque di fare diverse cose insieme, per ottimizzare lo spostamento.
Così in paese siamo andati in biblioteca, in farmacia, al bar, al bancomat e a fare le foto-tessera.
C'era questa luce bellissima e il mio paese, sapete, è rosso di mattoni.
Al bar abbiamo parlato con la barista, in bottega abbiamo preso le cipolle e parlato col figlio del bottegaio, in farmacia con la farmacista,  al negozietto ci siamo scambiate il numero per whatsupparci le foto da stampare. [Ho scritto whatsupparci, lo so. Voi fate finta di nulla. Come non l'aveste letto.]
In piazzetta c'è un calcio balilla sotto il piccolo portico, così ho stracciato il Biondino.
Sulla panchina ho letto loro Reginald e Tina, ridevano tantissimo.
Nina nelle foto fa linguacce, una tenda rossa si solleva dietro di lei.
Al Biondino ho raccontanto delle Americhe e del marinaio sulla Pinta che per primo avvistò la terra: i nostri Terraaaaa! Terraaa! echeggiavano tra i mattoni ed il selciato. 
Davanti al gelataio una scolaresca di tedeschi leccava coni e ci guardava.
Ho pensato pensano che siamo felici.
Rientrati, ho piantato cavoli e finocchi nella terra vangata, mentre loro innaffiavano vasi prendendosi a bordate sui denti.
Dopo cena ho visto lui commuoversi, e minacciato lei di sbatterla in giardino insieme a quel rospo enorme che fa versi agghiaccianti.
La notte, qui, è nera di lavagna.
Dio - in quest'istante- come sono felice.

14 settembre 2015

L'ha presa benissimo.

Dunque la ccuola dei gandi non le piaze.
Lei a ccuola non zi va.
Zi va solo quando è gande.
Perché io piangio, mamma. Sono piccola, lassami 'ttare.



p.s. 
Io comunque stasera vorrei solo che fosse piccola, ma piccola davvero. 
Poterla consolare col gesto più antico di sempre, quello che tutte le femmine di qualunque fottuto mammifero su un qualunque pezzo di questa fottuta terra fanno da sempre. Nessuna parola, nessun carillon. Solo pelle calda e nutrimento. 
Ma lei non ha tre mesi, ha tre anni. 
E dobbiamo salire sul fottuto pullmino.
Fottuto è l'aggettivo più in voga, stasera.

8 settembre 2015

Siamo stati pochi giorni in campeggio.
Il mare a Settembre è lucido, smaltato. La sabbia umida, color della terra.
Il mare a settembre è molto tranquillo, mi sembra che faccia bene al cuore, all'anima e un po' anche alla pancia.

Quando tutto è ricominciato, siamo ripartiti per il nord.
Vi farei sentire la voce di mia suocera, NonnaPensaciTu, quando rivede i bimbi dopo un mese e passa. Fa hi-hi-hi senza potersi trattenere e li bacia, con questa risatina gaudiosa che la fa sembrare una bambina.
Quando la sento ridere così mi sento un po' in colpa, ma le voglio più bene.

Il Biondino e Nina parlano un sacco tra loro.
Sono discorsi assurdi, sinceri, bellissimi.

"E pecchè Sante Pollastri è diventato cattivo?"
"Perchè il lato oscuro era forte in lui."
"Come Pàppatin?"
"No, Nina. L'Imperatore Palpatine è Il Lato Oscuro. Un VERO cattivo, capisci? Sante invece è un cattivo buono. Ha solo un pochino di lato oscuro, come tutti. E poi sparava a una polizia che non era mica tanto buona."

Io sono un po' stanchina, ho staccato poco, però credo pianterò delle verze e del cavolo nero. Una zucca ha resistito al caldo agostino, e adesso pende allungandosi dalla staccionata verso terra,  nella sua veste giallo crema. Spero tanto arrivi ad Ottobre.

Per il mio compleanno voglio ancora il mare e questa, tutto sommato, mi pare una cosa bella.


24 agosto 2015

Non è per stigmatizzare sempre, è che mia figlia.

Comunque.


Amichetta intrippata con video di Frozen, Elsa in cima alla montagna, Nina su divano.
Giunti al frame in cui lei si scioglie i capelli e passa da vestito Sudtiröl a abito-guaina-tacco-alto e falcata da sexy lady, Susibita deve ammettere a sé stessa che persino lei a 4 anni, sì, avrebbe dato il rene suo, della sorella e del gatto pur di essere Elsa.
Nina su divano.
Elsa caccia ultimo acuto, Nina scende da divano, si piazza in mezzo al tappeto e spalanca le braccia al cielo, accenno di danza.
Susibita "ahpperò vedi, pure lei c'ha i suoi rigurgiti di femminilità, volevo ben dire."

Fine video.
Amichetta, occhi sognanti: "Oh, Elsa..."
Susibita: "...HERE I STAAAAND, IN THE LIGHT OF DAAAAY..."

Nina: "Bellino. Adesso peò Mazinga, peffavoe."



11 agosto 2015

Mentre voi, noi.

Mentre voi vi sollazzate al mare o in montagna intasandomi la timeline di instagram con i vostri "yawn, che fatica alzarsi alle 11", "poteva andarmi peggio. #figata" #beneanzibenissimo" "#wow" "#arrostincini&" "#a-a-bbronzatissimi" , più varianti eventuali, noi:

- sturiamo cessi

- tiriamo giù pareti di cartongesso a calci

- bonifichiamo da liquami sospetti una ex-comune di artistoidi rasta gang style apparentemente dediti alla filosofia jungiana

- sogniamo pomodori nell'orto, a 400 km di distanza

- telefoniamo a bambine urlatrici, cattive, selvagge e nudissime

- spediamo foto a bambini improvvisamente fattisi saggi, seguaci indefessi della filosofia Jedi, talentuosi e concentratissimi manipolatori lego, Girardengo dell'anima, Sante Pollastri del cuore.

- ci tuffiamo nell'ennesima, affogante, appagante, spaventosa, fiduciosa, incredibile avventura.


Poi, se tutto va come deve andare nei miei diabolici piani, tutto questo avrà fine, e ci ricongiungeremo alla nudista, al biondo Bandito e biondo Campione, e quest'estate -almeno un poco- troverà ciò che resta di noi.



28 luglio 2015

Dello splendore, delle endorfine e del mio luminoso e tenebroso io.

In trasferta nella Città Grande:

1. I vecchietti sono la parte umanamente più splendida di Città Grande.
Ho conosciuto il Signor Piero per 30 secondi in sosta al passaggio pedonale ed è stata una delle più sfacciate e deliziose presentazioni di 30 secondi di tutta la mia vita.

2. Le fasce d'età non pensionabili generalmente non consentono quel minimo contatto visivo che potrebbe stabilire il loro splendore o meno.
Da vera provinciale con ansia da contatto sociale Susibita saluta e sorride indistintamente a tutti, attendendo fiduciosa.

3. L'uomo di cui Susibita è innamorata persa conduce in Città Grande una vita indaffarata, spericolata, appassionata, incasinata.
Per amore solo per amore mio, dei miei occhi delle mie parole Susibita si è rapidamente adeguata ai ritmi stakanovisti, avvantaggiata invero da una certa predisposizione naturale all'abnegazione lavorativa.
Dio benedica i geni del Profondo Nord ereditati da Nonno-che-somigliava-paro-paro-a-Vladimir-Ilic-Ulianov-Lenin, ma a dirla tutta quello che le tiene su le endorfine sono le usmate al cesto di pomodori dell'orto che per ogni evenienza si è portata da casa.

4. Durante il breve intermezzo con Nonna Pensaci Tu, la suocera-che-non-perdona ha dichiarato che il ragazzo è stressato, se tu Susibita non cambi idea e ti ri-trasferisci a Nord dove si sta così bene, mica come lì da voi in mezzo al niente, lui presto si ammalerà, L'ANNO PROSSIMO MORIRA' e tu rimarrai vedova.
Tocchiamoci tutti abbondantemente.

5. La storia che Susibita gestisce bene il distacco dai bimbi era un bufala, o comunque non si estende a 10 giorni.
Susibita ha pianto per 40 minuti al momento della partenza.
Questo messaggio si autodistruggerà tra -10, 9, 8...

6. Stavo meditando di assaggiare il sushi, tipico piatto locale, mi dicono.

7. Sto bene. Sto male. Ho paura. Sto bene. Male. Ni. Pfffi.

8. Bambini a parte. Ché i bambini son splendidi ovunque, e fanno eccezione sempre, insieme al Signor Piero di cui sopra.





21 luglio 2015

40 gradi fuori, e pure dentro.

La mia temperatura interna di 2 h fa era 37.8, quella attuale di 37.4, tra 1 h chi può dirlo.
Da 3 giorni il mio termometro interno è impazzito.
I bimbi sono da Nonna Oroscopo, altrimenti non riesco a lavorare e non ho la forza di gestire i loro rientri dal campo estivo.
Fonti attendibili riportano di averli visti annaffiare i pomodori canna alla mano e nudi come vermi. Alla richiesta "nonna mi cappa la cacca" pare siano stati mandati "là dietro, dove la fanno i cavalli, così pulisco una volta sola."
Vivo di qualche avanzo, scatolette di legumi, verdure dell'orto e formaggio feta. Molte molte pesche.
Nell'orto non ci vado più, i fagiolini hanno invaso il sentiero e le zucchine pesano 4 kg l'una.
Deambulo tra computer e divano. Scaccio zanzare.

Ricordatemi sorridente, con la temperatura stabile e l'orto a modino.

21 giugno 2015

Di Giugno hai i capelli, gli occhi non si sa.

Che cosa siamo, prima di Essere?
Impulso elettrico.
Girini nella placenta.
Da qualche parte in un istante, siamo un battito.
In un qualche punto in un qualche tempo nella testa di nostro padre, nel ventre di nostra madre, la prima cosa che siamo è semplice: un'idea.

Dio ti prego che sia sano.
Speriamo sia maschio.
Mi basta non abbia il naso di tua madre.
Speriamo dorma.
Fai che la guerra finisca.
Speriamo d'esser vivi.

E quando poi Siamo, cos'è che precisamente Siamo?
Un corpo e un nome.
I figli di qualcuno.
Mi par che siamo molto, moltissimo animali: come i gatti o i cavalli.
Siamo respiro, freddo: siamo le nostre urla.
Siamo fame, sopravvivenza, istinto di vita.

E che cos'eri tu, prima di te?
Subito, proprio subito subito prima di esser te di fuori, eri un po' me di dentro: carne, fiato e tutto il resto.
E anche se urlavo - bambina, non ti credere- avevo la situazione sotto controllo, mica come con tuo fratello.
Un po' per la punturina della felicità, un po' perché il mio corpo aveva capito quella storia delle spinte e assorbito il concetto.
Così invece di saettare gli occhi fuori dalle orbite, il coccige fuori sede per non tacer del resto, la mia testa ha tirato fuori da chissà dove la memoria del corpo: che più che con i muscoli, si spinge col tempo giusto. 
E con tutta l'anima, naturalmente.

La gente trova rassicurante trovare somiglianze, riconnettere situazioni: fa parte del gioco, l'illusione che in fondo tutto sia sotto controllo.
Quando sei uscita con quel cordone lì attorno al collo, già avevi cominciato a far casino: avrei dovuto capirlo.
Spesso chiedo a tuo padre eh ma tu sei sicuro che quando è uscita da là sotto c'aveva proprio quegli occhi lì, vero? cioè tu glieli hai visti, giusto? erano già così, come due tondi bottoni in mezzo alla faccia? perché secondo me non ci somiglia per niente. Non è che ce l'hanno scambiata?
Io quando sono scesa ad allattarti la prima volta ho notato quel buchino, proprio accanto all'orecchio, un puntolino minuscolo.
"Qualche mese e si riassorbe", m'hanno detto. Invece sta ancora là.
Speriamo non vada mai via, Nina, sarebbe un po' triste: è la prima cosa di te che ho amato.
Quando ti dovevo prendere in quel mare di culle ti cercavo, controllavo il numero sul bracciale e poi -diffidente- risalivo a quel buchino, quel minuscolo pezzettino che chissà come m'era sfuggito.
Allora ti prendevo, e così ogni giorno eri un po' più mia.

Non è vero che i figli non sono noi.
Cioè: è giusto pensarlo, ribadirselo come concetto, così voi crescete liberi con la vostra personalità unica e noi non vi opprimiamo, e occhèi.
Però non è vero, semplicemente.
Non è che perché una cosa non è vera, allora non dobbiamo crederci: vaglielo a dire a Babbo Natale.
Io ad esempio da quando ho voi penso sempre a quella frase che lessi non so dove:

"Com'è, avere un figlio?"
"Un figlio? è come un pezzo di te, ma che va in giro da solo."

Io infatti trovo che tu sia molto tu, ma anche molto me e molto tuo padre, e anche tuo fratello e tutti gli altri: tu, più la somma dei nostri geni, dei nostri errori, della nostra paura, del nostro sforzo alla felicità o all'amore. 

La gente trova rassicurante trovare somiglianze, riconnettere situazioni: fa parte del gioco, l'illusione che in fondo tutto sia sotto controllo.
Quando sei nata, era il primo giorno d'Estate. 
E ogni volta in cui per la prima volta sarà di nuovo Estate, tu nascerai un'altra volta, e noi ti si farà una gran festa: io mi metterò carina e accenderemo le candele, poi mangeremo una torta fresca, con fragole o ciliegie.
Siccome hai in te l'estate, anche tu sei calda, divertente, pigra e faticosa.
Di Giugno hai la pelle di grano, gli occhi delle lucciole: che hai solo tu, ma che t'ho fatto io.










11 giugno 2015

Applausi.

Se per qualche giorno non eravamo qui, è perché stavamo da altre parti a fare progressi, raccogliere applausi.

Applausi al Biondino che - noto per avere una pigrizia fisica inversamente proporzionale a quella mentale - ha superato la propria accidia abbandonando la bici propedeutica e passando a quella in cui deve pedalare, producendo uno sforzo muscolare non indifferente per il suo standard.
Manco a dirlo scene teatrali in cui sembra che faccia tutto lui, scenate epiche in caso di caduta, ma tant'è: pedala.
Applausi.
Negli ultimi giorni poi succede anche questo fatto incredibile che gli dico "vai a farti la doccia", e lui va.
Accende l'acqua, s'insapona, riaccende l'acqua, sciaqua Spiderman, pettina un minipony,  io urlo "la vogliamo spegnere quell'acqua che costa?" uguale identica a mia madre, lui affoga una rana, disegna col sapone sul vetro della doccia, alla fine spegne.
Comunque dico, a parte la bolletta dell'acqua e il bagno allagato: si spoglia, si lava, fa tutto lui.
Applausi.

Applausi a Nina.
Che non fa nulla di speciale, è sempre la solita: gareggia, si slercia, s'impunta, piange, crolla, si rialza,  tira scema mia suocera, il tutto preferibilmente nuda o perlomeno smutandata.
Applausi.

Applausi a me.
Che non ve l'ho mai detto, ma tempo fa mi iscrissi per dare 2 esami in università pensando ci provo, se non riesco a seguire mollo.
Che ho seguito pensando ci provo, se non passo i test di metà semestre mollo.
Che ho fatto tetris con lavoro, maestre, parenti fino alla quarta generazione, vicini di casa e un tizio che passava per caso di qui e a tutti ho detto grazie eh, abbiate pazienza tanto duro poco: se vedo che non va, mollo.
Che ho finito il corso e ho detto ci provo, al massimo vedo che tira brutta aria e mollo.
Che mi son seduta quella mattina in mezzo a 24enni e con enorme faccia di culo non ho mollato.
Applausi a me che ci ho provato.
Applausi a me che chissà se serviranno, questi due esami in più.
Applausi a me che mannaggia, non mi si risolve certo adesso l'annosa quaestio dell'autostima: quello che sapevo già lo sapevo, quello che non sapevo ancora non lo so.
Ma non importa: applausi a me, comunque.
Che stamattina, di fronte al 29, per almeno 2 ore e mezza ho pensato che sono un fottuto incompreso genio, e poi son passata in posta.

22 maggio 2015

e basta.

Nina mi piace perché per ora, tuttora - e ancora chissà per quanto- è quello che è.
Nina -senza alcuna intenzione - è la contraddizione vivente dello stereotipo sessista.
Nina è svincolata da qualunque forma preconcetta, femminuccia, maschiaccio.
Nina non la definisci, non la incastri in un'immagine semplificata, solo per potertela spiegare meglio: infatti non te la spieghi per niente.

Nina corre senza motivo, per la gioia unica di correre.
Raramente cammina o deambula: quando si deve spostare, prevalentemente, Nina corre.
Nina ama i pupazzi, i puzzle, le costruzioni e le macchinine.
Voi direte bè, il fratello. E un po' avete ragione, l'ho pensato anch'io. Ma non del tutto.
Perchè il Biondino le macchinine non sa cosa siano e gli Avengers non li conosce.
Ad esempio il primo poster di Spiderman in cameretta è arrivato con Nina, che presenta peraltro tutti i sintomi della pre-adolescente infatuata: prima lo guarda adorante, poi lo teme, alternamente lo idolatra o sbeffeggia e infine -opportunamente- lo ignora.
Nina sta coi maschi.
Nina fa il bagno a una bambola e ama i gatti soprattutto.
Nell'armadietto a scuola Nina c'ha i Transformers.
Nina balla, con la grazia soda e piena della marmotta.
E' ormai appurato che a Nina non frega nulla, ma VERAMENTE nulla, delle principesse.
Nina indossa un vestito in tulle rosa di Peppa Pig e un paio di vecchie scarpe da ginnastica di suo fratello.
Per il suo compleanno, Nina ha chiesto un pallone: dell'Uomo Ragno.
Nina ogni sera si spalma la crema sul viso accuratamente.
A volte si guarda allo specchio e si vede bella.
Nina quando io metto il rimmel mi si piazza accanto con due occhi grandi così.

Un giorno ho visto Nina prendere la bambola, tirarsi su la maglia e darle il latte dall'ombelico.
Nina mi commuove, e temo il giorno, l'uomo o la donna che vorrà cambiarla.
Nina è certamente femmina e indubbiamente maschio.
Nina non puoi chiamarla in nessun altro modo che col suo nome, perchè lei -dice- è "Nina. E batta."

13 maggio 2015

Dei miei giorni intensi, con tahina in borsa.

Ciao città che vivi un sacco, la notte.
Ciao colleghi, amici, adulti in carne e ossa, che vi vedo interi dalle occhiaie in giù, e non dietro lo schermo di una chat.
Ciao dove vai? ma torni? ci vediamo dopo per una birretta? [ciao concetto di birretta]
Ciao signore iraniano del minimarket, imbruttito perché non trovo la tahina alle 11.30 e tu vuoi chiudere.
Ciao nutrie - unici esemplari pervenuti di biodiversità cittadina, a parte i cani con collari assurdi e le zanzare. A Maggio.
Ciao giovani donne con fondotinta extraterrestri e lo smalto in tinta con la borsa.
Ciao bizzarri giovani uomini con barbe ordinate come aiuole svizzere, pantaloni alle caviglie, scarpe in pelle senza calze (scarpe in pelle senza calze??).
Ciao granita, musica in piazza, profumo d'estate giovane e afosa.
Ciao uomo che dormi nell'androne delle macchinette self-service. Ciao, pietà.
Ciao gelsomini in fiore.
Ciao piantine tristi, su terrazzini impolverati di strada.
Ciao rumore, rumore. Un sacco di rumore.
Ciao vetrine in gran spolvero, bancomat ogni 50 metri, farmacie sotto casa, tutto molto facile, tutto molto vicino.
Ciao sentire che esiste qualcosa di più grande, di più teatrale, di più comodo, di più tragico, di più eccitante, di più artificiale, di più futuristico, di più sporco, di più europeo, con meno cielo, con più musica, con più gusti gelato, con più adulti, più drink, meno Mediterraneo, con grande fascino e un po' di poesia, molto bello e molto brutto, molto ricco e molto povero.

E' stato bello, davvero.
Ma ho dei pomodorini nuovi, da piantare.
E un silenzio che non so spiegarti, se mi capisci.



4 maggio 2015

io ad esempio.

Io adesso ad esempio non vorrei nulla di più di questo che ho.
i baci sulle labbra di Nina.
un paio di gambette magre, la collezione dei fossili insabbiati sul davanzale, lo zaino a forma di volpe col kit da esploratore: lente d'ingrandimento, carte appallottolate, sughero, un vecchio righello.
Mi piacerebbe, ogni tanto durante la settimana, lui che li addormenta mentre carico la lavastoviglie, ma fa lo stesso. Basta che torni e giochiamo all'amore.

I tageti tra i pomodori, tre nasi tra le pagine, un libro con istruzioni su come si cattura una stella.
Uscire sul balcone e sentire il vento caldo dal mare.
I papaveri rossi alla fermata del pullmino. Lo sciopero. Io te e le lasagne al pesto.
Il giallo etrusco del tufo, immaginare i capperi in vasetto.
Il primo caffè del mattino, il pigiama corto, prendere le misure per la panca in cucina.
Esistono cose più importanti di queste.
Non è vero per niente.




23 aprile 2015

Il bullismo in età prescolare: da Hallospank a The Avengers.

Quando avevo 11 anni mi mandarono all'ospedale, furono un compagno cattivo di 11 e uno buono ma sciocco di 13.
Per diversi mesi ebbi paura vera, e cominciai a credere di non potermi difendere da sola.
Mia madre fu, in quei giorni e nei mesi successivi, la roccia pronta a difendermi e dietro cui nascondermi.
Poi una mattina non molto diversa dalle altre, per una ragione non più grave delle altre, schiaffeggiai uno più grande, minacciandolo di torcergli il pisello e infilarglielo nella presa elettrica.
Da quel giorno -puf- niente più mani addosso.
Mi avevano un po' esasperata.

Dicono che ai buoni non bisogna dar fastidio, che diventan pericolosi.
Io non sono diventata una gran forza della natura nel frattempo, e certe cose ancora oggi sanno ferirmi profondamente. Se nasci con la testa con cui sono nata io, non sarai mai immune al dolore.
Però quel giorno in cui la mia mano si è sollevata qualcosa è scattato.
Non ho più aggredito qualcuno da allora, ma la differenza io la conosco e sta tutta qui: che, all'occorrenza, so di poterlo fare.
Che dentro di me c'è un angolo, una specie di piega che fa il mio corpo, oltre la quale quello non si fa più toccare. E' uno svincolo che ho imboccato solo una volta, ma so di ricordare perfettamente dove sta.

Quando lui mi ha raccontato della carota-giocattolo puntata alla gola, dei tre che lo hanno preso e tirato, di quando è stato cacciato dai giochi, di quando è stato provocato, non lo ha fatto tutto insieme: gli episodi si sono susseguiti a distanza, senza che inizialmente lui accusasse un disagio particolare.
L'ho sempre lasciato parlare, gli ho sempre creduto, non ho mai minimizzato.
Ma inzialmente ho anche fatto domande, provato a contestualizzare, a renderlo responsabile di sé oltre al classico "dillo alla maestra", di tenersi a distanza e far gruppo con gli altri, perchè i bulletti - o meglio, gli atteggiamenti bulletti- vanno isolati. Soprattutto, di raccontarmi sempre tutto, e non vergognarsi di nulla.
A un certo punto il quadro si è ben delineato, lui a casa mi ascoltava ma non sembrava capace di reagire sul campo.
Ogni contesto ha le sue regole scritte e non scritte: la scuola dei nostri figli, rispetto a quella degli anni '80 in cui sono cresciuta io, è fortunatamente qualcosa che appartiene molto di più anche a noi genitori, ma è inutile negare che sia principalmente territorio loro: lo spazio in cui si muovono ogni giorno senza di noi, di cui loro -non noi- conoscono istintivamente le dinamiche interne.
Mi sono ricordata dei miei 11 anni, gli ho detto: ok, vengo a scuola e vediamo di sistemare la faccenda.
Ho parlato con le maestre, lui si è rasserenato in pochi minuti.
Avevamo un piano, una strategia approvata su tutti i fronti.

Quello che ho detto a mio figlio in un primo tempo mi ha fatto vacillare in alcune certezze, dato che ho passato gli ultimi 4 anni a pregarlo: "non usare le mani, parlami. Parla, bambino. Parla a tua sorella, parla a me, P-A-R-L-A, comunica perdìnci: le sberle o i capelli tirati mi dicono solo che sei arrabbiato, non il perché."
Ma avevo in testa i miei 11 anni, e gli ho detto per la prima volta una cosa diversa.
Che il suo corpo sa fare cose meravigliose: abbracciare, accarezzare, consolare. 
E difendere.
Che le sue mani, le sue gambe, possono e in casi estremi DEVONO opporre resistenza, avvertire, o addirittura colpire.
Che tre contro uno non è forza: è vigliaccheria. E in quel caso parlare conta poco.
Che quei tre non si esauriscono lì, negli anni si evolveranno o incapperà in emuli di ugual fatta, per cui è bene imparare a gestirli prima possibile.

Sdoganato il confronto con la maestra, assimilata l'informazione che non sarebbe stato sgridato, che difendersi non è aggredire, che proteggersi non è far violenza, l'Avengers che era in lui è ora un cane sciolto.

Il primo giorno ha letteralmente tirato fuori i denti al primo spintone di P.
Pare non sia andato a segno ma che abbia gridato motto fotte: "hei tu, io sono (nome), il bambino più bavo della ccuola (??) e quetta è l'uttima votta che mi picchi!".
La mitologia sviluppatasi attorno all'eroico episodio ha presentato varianti nella dislocazione di luoghi, tempi e talvolta personaggi ("M.? non hai detto che era stato P.?" "Ah zà, è vero.") e nel dipanarsi di ramificazioni ulteriori nei giorni successivi: "ho sàvvato S., perchè M. la ttava picchiando. Mi ha femmato solo la cuttode, quella zitrulla." "La vostra custode non è una citrulla, e vedi di non farti prendere la mano, vecchia canaglia.") tanto che non posso dirmi completamente certa di quanto sia vero e quanto inventato.
Il dato positivo è che lo vedo più sicuro di sé, più sereno, come se quel certo svincolo l'avesse imboccato anche lui.
Pure un tantinello galvanizzato, forse.
"Ho naccotto la mia enomme capazità di difendemmi, mamma."
"Perchè?"
"Potei fare del male  Nina."
"Humm. e quindi? se incontri di nuovo i prepotenti come fai?"
"Non peoccuatti. E' al sicuro."

Sulla mensola, dentro alla scatola dei fossili qui in camera, c'è un pote(r)e enomme pronto a scatenarsi e fare stragi contro P. , M., i loro servili scagnozzi i Mangiamorte o L'Impero, solo in caso di bisogno.
Ed è lì, tutta la sua forza.

13 aprile 2015

keep calm and fight the peronospora.

Non vi ho mai parlato del mio orto biologico.
Non sono mai stata una vera esperta di ortofloricultura ma vivere in cima alla collina trullallà ti rende davvero -DAVVERO-  più sensibile alla natura, semplicemente perché sei molto più vicina ai suoi ritmi: ci sei dentro.

Nel fare l'orto s'imparano un sacco di cose, si fa attività fisica, si eliminano tossine, ci s'ingegna, s'imparano la tenacia e il fallimento, l'umiltà di un successo piccolissimo, grande quanto un bacello.
Lo so, è da vecchi, d'altra parte mi addormento alle 9, non vedo una palestra seria da 5 anni, mi piace la pastina in brodo con tanto formaggio, infilo la canottiera nelle mutande e adesso ho anche cominciato a far casino coi nomi quando chiamo i miei figli: "Hei tu: Googl-Biondin-Nina-Coso-Cosa, Arturazz..."
L'orto francamente mi par l'ultimo dei miei problemi.
Dunque dicevamo: non serve uno spazio enorme, e so che in tanti s'industriano anche sul terrazzo in città.
Il mio è piccinissimo, ma è oggetto di pianificazioni e ristrutturazioni serrate, che manco la Cristoforetti sulla ISS in viaggio verso la Stazione Internazionale.

Non ve l'ho mai detto ma il concetto di riciclo m'intriga moltissimo, il compostaggio mi dà soddisfazioni enormi: qualche giorno fa è uscito il controllo del comune, l'addetta solleva il coperchio, guarda sopra e sotto, poi conclude: "Colore scuro, farinoso ma umido al tatto,  un sacco di vermi: davvero perfetto, complimenti."
Io tronfia e col petto gonfio tipo mamma chioccia. Tutti quei lombrichi rosa e grassi, non potete capire.

Nel mio orto c'è la paglia bionda delle cavalle di Nonna Oroscopo che da quando ho scoperto che fa anche da pacciamatura naturale la spaccio qui in paese.
In cambio ho prenotato dal mio vicino pazzo delle piantine di pomodori antichissimi, peruviani, mesopotamici, delle lande uruguayane e sono curiosissima di vedere se prendono.

Nelle sere in trasferta al nord senza niente da leggere googlo "orto bio, difendersi dalla peronospora" e pianifico la rotazione delle colture a voce alta, perché l'orticoltura è un'arte oggettivamente avvincente e illuminante e la mia missione da aprile a novembre è anche sottrarre il mondo al buio dell'ignoranza.

4 aprile 2015

il modo in cui mi ama (e altro)

Il punto della situazione:

Stiamo togliendo il ciuccio a Nina.
Ero pronta a tutto, i capricci non mi spaventano.
Ma il pianto sommesso, sofferente, quando ha rinunciato anche a chiamarmi, bè quello è un colpo davvero basso, bambina.

Non sono indietro col lavoro, sono oltre. Sono talmente oltre che non recupererò mai, perché nel frattempo si stratifica sopra altro materiale.
La cosa del "sono una persona creativa (?) nel mio disordine mi ci ritrovo" è una puttanata. Vale se hai 3 robe in corso. Se nei hai 30 sarebbe utile cominciare a darsi una regolata, bambina.
E magari imparare a dire qualche "no", qualche "sì, ma dopo", o in alternativa qualche "e poi, una scopa in **** e ti ramazzo la stanza?", pure.

Mia suocera, la mia personalissima incarnazione dell' odietamo è qui.
Va tutto bene: giochiamo a dama aspettando il caffè, Pianifichiamo l'orto, poi tipo un paio di volte al giorno desidero azzannarla con violenza, ma passa quasi subito, quando mi raccoglie erbette di campo e le stracuoce nella pentola a pressione.

Il modo in cui Nina ama -il modo in cui Nina MI ama- è una droga.
Voi non potete capire quant'è bella.
Ma non bella fuori, cioè non solo.
È l'anima incontaminata di Nina che è uno spettacolo.
Nina ha un modo di essere bambina che è un po' da donna e anche da vero maschio.
Nina è un mix di dubbio e coraggio, e tanta tantissima sfrontatezza.
Nina mi piace perché quando ha paura non è fragile.
Nina non ha 3 anni ma a volte ne ha già 7.
Nina è una superficie di vetro liscia su cui procedere piano e stupirsi, ad ogni passo.

Ho preso delle varietà di pomodori antichi, affascinantissimi, e quest'anno, nel mio orto, i fuochi artificiali.






24 marzo 2015

Quel giorno in cui ballavo "cocaine" davanti ai miei figli o Dell'apprendimento.

Dicono che gli insegnanti ricordino soprattutto gli alunni peggiori, i più difficili, quelli che li hanno fatti dannare.
Bisognerebbe chiederlo, a un insegnante, se è vero.

Io so che alcuni insegnanti devo averli portati all'esasperazione. 
Tutti quelli di matematica, ad esempio. Non sono affatto certa mi ricordino con nostalgia.
Mentre forse per R., di italiano, forse per lui io sono stata quello che per me era F. quando davo lezioni private.
A F. spiegavo una volta sola, ed era fatta. Facevamo lezione anche dalle 20 alle 21, dopo 8 h  in università, tanto non mi stancavo.
Ero molto grata a F. della sua intelligenza, della sua naturalezza all'apprendimento, grata del suo intuito, della sua sensibilità, della sua straordinaria capacità. 
F. mi faceva sentire terribilmente brava.
Ma il fatto è, invece, che quello bravo era lui.

G. invece era...bè: era G.
Inconcludente, iperattivo, distratto, anarchico.
Una faccia di culo che ti vendeva pure tua madre.
G. era bocciato: da un po'.
Dieci minuti di lezione con G. erano fatica pura: erano sfida, richiami continui, soluzioni inventate su due piedi, era andare a braccio sperando funzionasse con la stessa percentuale di successo che vincere alla roulette russa.
Era attendere: lui, me, il sedimentarsi delle informazioni.
Alla fine tuttavia, anche G. è arrivato e mi ha portato il regalo più bello: stupirmi.
A conti fatti, G. mi ha insegnato ad insegnare.

Molto di quello che G. mi ha insegnato sull'insegnamento lo riscontro ancora oggi come genitore.
Ed ecco cosa mi ha insegnato il mio "alunno peggiore":

1. Fattene una ragione. Accetta. Scava, e vedi cosa scopri.

Prendiamo mio nipote: tu gli dici NO, neanche eccessivamente convinta, e lui SMETTE.
Tu gli dici, seria: "ascolta"- e  lui, siorri e siorre - ASCOLTA. Giuro.
Tu prendi il biondino, oppure sua sorella -fa lo stesso, la sostanza genetica non cambia- e digli No. No. NO. Hei, Biondino, ascolta: ti ho detto NO. Biondino: NO-O.
Siamo a 4 NO, e ancora no reaction.
I motivi possono essere svariati: le lucciole nel bosco, Mazinga che fa colazione, il fascino inequivocabile del rumore generato dalla testa della sorella che rimbomba sorda contro il pavimento, 3 + 4 che fa sette, sento come una voze familiare che mi chiama -parrebbe, non ne sono zerto ma potrei quasi essere sicuro di sì, quella di mia madre, ma  è in fondo davvero necessario che io risponda al suo richiamo SUBITO? probabilmente sì, ma guarda come s'incastrano alla perfezione questi due pezzettini che sembrano gli artigli di Coniglio Feroze, ad esempio. E altre amenità.
Se mio nipote ubbidisce ai miei ordini non è che io sono più brava con lui che con mio figlio: è solo che mia sorella c'ha le botte di culo.
I miei figli sono dei bravi bambini, ma indubbiamente distratti, fortemente testardi, vagamente anarchici, sostanzialmente refrattari alle regole.
Che fare?
a. introdurmi nottetempo in casa di mia sorella per una sostituzione al volo, indi far disperdere le nostre tracce.
b. accettare biondino e compagnia per quello che sono: rispettare le loro inclinazioni, limitare le loro distrazioni, lavorare di cesello con pazienza, imparare a catturare la loro attenzione, invogliarli alla collaborazione attiva.
Ogni tanto, anche, afferrare il biondino per i piedi e tirarlo giù sul pianeta terra.

I miei figli sono un po' stronzi, è vero, ma hanno un loro personalissimo perché, e sta a me ignorarlo in quanto non corrispondente alla mia personalissima idea di "bambino ideale" o coltivarlo facendo leva sulla loro nevrotica, anarco-insurrezionalista, istrionica, sorprendente unicità aspettando che mi sorprendano.

2. Resistere. Resistere sempre.

Prendiamo le volte in cui gli hai detto che non ci si alza da tavola senza il permesso.
Una cifra intorno ai 10 milioni, più o meno.
Non ci credi più neanche tu, ormai lo dici per inerzia, a un loro minimo movimento il tuo braccio scatta da solo afferrandoli per la collottola, la bocca ti si apre tipo automa e la senti scandire le parole roboticamente "se-sei-pieno-dillo-chiedi-e-ti-sarà-dato-ma-non-alzarti-senza-dire-nulla-è-un-atteggiamento-maleducato-io-non-lo-faccio-non-farlo-neanche-tu".
Pensi che non abbia senso, che ormai non serva più.
Pensi oddio parlo come mia madre, anzi no, peggio: io SONO mia madre.
Poi una sera a caso la tua Nina 2enne prenderà il tovagliolino, si asciugherà compostamente le labbra come il clone nano di Bree Van De Kamp e garbatamente ti apostroferà : "Mammina, poppo appammi, peffavoe?" (Mammina, posso alzarmi per favore?).
Durerà poco, ma saprai allora di aver fatto centro.
E d'altra parte anche di avere un consistente problema di fonetica.



3.  Il tempo che non conti ma che c'è [ i bambini apprendono anche quando non gli insegni].

Poniamo che zii, nonni e asili complottino contro di te assassinando la cultura musicale dei tuoi figli a suon di cofanetti baby-dance con remix de IlpulcinoPio, Lamacchinadelcapo e LetagliatellediNonnaPina.
Tu non hai i soldi per pagargli un corso di violino con metodo Sukuzi, non hai il tempo di ascoltare con loro sul divano il bauletto dei Beatles, il giorno in cui tu gli metti Santana e loro gridano perché vogliono la gangamstyle pensi di aver fallito. Fondamentalmente perché neanche hai cominciato, a provarci.
E se questi due sono condannati alle paludi musicali del pop italiano, se a 14 anni dalle loro cuffie sentirai uscire nient'altro che Gigi D'Alessio è solo colpa tua, della tua mancanza di tempo, attenzione e di nerbo.
Ma succederà che un bel giorno lo sentirai che parla alla sorella: fidati, quetta è roba per bambini piccoli: ti fazzo accottare un po ' di rock.
Lui toglierà Popoff dallo stereo (quando ha imparato a farlo? chi glielo ha insegnato?), scartabellerà un po' tra i tuoi vecchi CD, ne estrarrà uno in particolare, lo infilerà nello stereo e pigerà play.

Quando dalle casse partirà Smoke On the Water ti torneranno in mente un sacco di dettagli cui non avevi fatto caso, prima.
La voce di Lou Reed andando in stazione, che li addormenta.
Quella volta in cui facevi la scema ballando Cocaine mentre grattuggiavi il grana, e loro si sganasciavano.
La domenica mattina in cui hai messo in loop Rattle and Hum e gli hai detto: Ascolta, ascolta qui quando Bono dice Hei The Edge, play the blues...e poi senti, senti come parte la chitarra?
Ti viene in mente che forse la bellezza non s'insegna, la si vive e basta.
Che c'è una somma di minuti, di ore in cui tu semplicemente vivi con loro, ami in mezzo al loro, fai scelte di fronte a loro, e anche cambi cd in presenza loro, senza la minima intenzione dichiarata e consapevole di insegnare loro qualcosa.
Però quelli - guardacaso- ti guardano, ti osservano. E intanto il tempo passa, sedimenta informazioni, spunti, ispirazioni.

Perchè gli adulti, come i bambini, imparano dagli occhi e dalle orecchie, imparano dalla testa e dal corpo. E poi, imparano anche dal tempo.



Questo post partecipa al blogstorming di genitoricrescono col tema del mese: imparare ad apprendere

12 marzo 2015

La notte, in Thailandia.

"Mammaaaaa!!"
"Puffpuff-pantpant- Oggesùbeataclotidle, che c'è? stai male? che c'è??"
"Devo dilti* una cosa impoltantissima!"
"Dimmela, che la voglio sapere."
"Senti qua: quando noi siamo nel zorno, in Thailandia dormono."
"A-ha. Occchèèi..."
"Capissi? i Thailandiani dolmono adesso!"
"Thailandesi."
"Sì, thailandesi."
"E' per via di quella storia che ti raccontavo l'altra sera, ricordi? la terra che gira attorno al sole e anche attorno a sè stessa, ed è pure un po' storta."
"E' affassinante."
"Cosa? la rotazione terrestre?"
"No. La notte. La notte, in Thailandia. Affassinante."






*stiamo faticosamente cominciando ad arrotare le erre, mesi fa sarebbe stato direttamente"dìtti". ora c'è la vaga percezione di due lettere distinte.

11 marzo 2015

Il peggio che puoi farle, è ignorarla.

Se qualcuno venisse e mi svitasse la testa dal corpo farebbe un'opera buona, avrebbe la mia gratitudine eterna.
Sento sinceramente il bisogno di staccarmi da me stessa.
Mi sto sul culo da sola, rendo l'idea? non so se qualcuno là fuori soffra di questa mia stessa sindrome e mi possa suggerire come uscirne.
In questi giorni, così pieni di forse, di scommesse che non si è per nulla certi di poter vincere, di dadi lanciati e piani perseguiti.
In questi giorni senza certezze, senza risultati, solo investimenti, io ecco: sono la miglior detrattrice di me stessa.
Son 30 anni e passa che lotto con un'autostima ridicola e francamente si sentono tutti.

Ho una mia teoria, in merito.
Credo che dall'insicurezza, dalla mancanza d'autostima, dalle paure più fonde della nostra anima -quelle su noi stessi- non si guarisca mai del tutto.
E' una malattia per cui non c'è cura.
Se la contrai - e nella misura in cui la contrai- te la porti dietro tutta la vita.
Puoi conviverci, ma annientarla del tutto mi pare oramai improbabile.
Poi non so, voi magari, ma io a farla fuori, 'sta bestiaccia grama, non ci sono ancora riuscita.
La mia teoria è quindi di accettarla, evitando come la peste di subirla inermi.
Averne consapevolezza, tentando di assumere parziale controllo su di essa.
Tenersi alla larga dai suoi più feroci alleati: l'autocommiserazione, la gravità, la solitudine, le seghe mentali auto-inflitte, il ripercorrere i (supposti?) fallimenti passati.
Rinforzare d'altra parte i suoi nemici più grandi: l'autoironia, la leggerezza, la fiducia nel futuro, la coltura della bellezza della propria anima - che c'è, esiste, gli altri la vedono, e persino io la sento dentro di me, quando mi tolgo le lenti scure dell'autodenigrazione.

Questa la teoria.
Poi la prassi, vabbè.
Nei miei momenti più bui sogno mio padre che mi fissa e afferma lievemente imbarazzato ma in fondo così -come ineluttabile constatazione- che gli pare proprio che io valga pochino.
In quelle notti scatto sudata dal piumino e cerco di riportare il battito ad un ritmo normale.
In certi momenti - non so se avete presente - io mi sento così nuda ma così nuda che mi sale il freddo addosso, da dentro.
In quelle notti mi stringo ai bambini, che sono così belli e hanno i piedini tiepidi e la calma del sonno.
Perchè anche se di giorno discutiamo, litighiamo, ci snerviamo a vicenda, la notte ci coglie ad un certo punto vicini, nel mio o nel loro letto.
La notte ce la teniamo per proteggerci.

Se nessuno di voi ha la possibilità di passare da queste parti in collina e svitarmi questa testa folle e stronza, bè non fa nulla.
Vorrà dire che farò semplicemente come le altre volte: continuerò a vivere e quando si avvicinerà la vocina sordida e meschina (lo vedi, che non sei capace? ma dove credi di andare? pensi davvero di farcela? stai soltanto perdendo tempo. Quello/a/esso/essa/il cane dei vicini/ilpeggiostronzochepassaperstrada sì che vale, mica tu. Hai sbagliato tutto, è da mò che te lo dico. Non te lo meriti, non sei all'altezza.) la lascerò parlare. Da sola.















23 febbraio 2015

#ioleggoperchè

Io leggo.

Perchè non ho soldi per viaggiare.
Perchè vivere, a volte, non mi riesce bene.
Per esser maschio, cane o assassino. Per lanciare l'expelliarmus.
Per vantarmi con chi non l'ha letto.
Per il colore della carta vecchia e il profumo di quella nuova.
Per il possesso fisico del libro.
Per nutrire i miei dubbi.
Per pura estetica, o senso del ritmo.
Perchè è pericoloso, e bellissimo.
Per le figure.
Perchè la notte è buia e fa una paura fottuta.


Perchè i bambini, di là, fan casino.
Per educare, dal latino: condurre, guidare fuori, ma anche sollevare, erigere. Perdìo, INNALZARE.
Per la dura legge della jungla.
Perchè non so scrivere.
Perchè è una droga legale.
Per disimpararmi.
Perchè non ho sonno.


Per i quadrifogli secchi di mia nonna tra le pagine, anni dopo.
Perchè ti presto pure le mutande, se vuoi ma sui libri -mmh- faccio la gnorri.
Perchè su twitter seguite Sanremo.
Per le note a margine di uno sconosciuto, su un libro comprato al mercatino.
Per ricordare.
Per dimenticare.


Perchè sono curiosa come una scimmia.
Per sudare di paura nel letto.
Per ridere in mezzo al treno.
Per il sacro.
Per il profano.
Per quando devo continuamente interrompere, se è troppo ben scritto/figo/inaspettato/esaltante/commovente/indignante/arrapante/avadakedavra.


Per non volerci credere, che è finito.
Per ricominciare daccapo.


p.s. se ancora non la conoscete,  tutti i dettagli, le risorse, i come, i dove, i quando e ovviamente tutti gli altri perchè di questa bellissima iniziativa: #ioleggoperchè

17 febbraio 2015

La nipote del Gran Mogol.

Susibita ha in programma una breve tappa lavorativa nella Città Grande.

La doverosa premessa a quanto segue è che dal momento in cui Susibita ha messo i piedi, anzi prima ancora gli occhi, sulla Collina dei Conigli, ha saputo di non essersi sbagliata, di aver fatto cosa buona e giusta.
Non c'è stato un solo momento in cui abbia rimpianto la vita di prima.
Perché la Collina, dovete sapere, è proprio fatta per lei.
Negli anni Susibita si è sempre più mollemente adagiata nel degrado stilistico a cui il suo armadio tendeva -invero- anche prima.
Ha progressivamente abbandonato jeans stretch e maglioncini, per gettarsi - spensierata e temeraria - nel bolo di tute in acetato e felpe con cappuccio che è diventato il fondo del suo letto.
La cosa figa di lavorare da casa è che puoi avere una call skype alle 12.30 con un tizio nel Canterbury e sembrare una persona seria, una che ne sa - indossando il pigiama di flanella, le crocks e puzzando vagamente di stufa a legna.

Forse la cosa che le manca sono solo i colleghi, gente adulta con cui parlare, prendere un caffè.
Per carità, Google simpaticissimo, sta accucciato ai piedi che è una meraviglia. Non fosse che qualche volta è un po' petomane, ma magari quello è un problema che avete anche voialtri là fuori nelle Città Grandi, col vicino di scrivania. E a 'sto punto -perdonate- ma francamente meglio il mio cane.
Tuttavia anche questo fatto di  levarsi il pigiama ogni tanto e ricordarsi che si è degli esseri umani e non dei teletubbies, non è da sottovalutare.
Inoltre Susibita sa per certo che nella città grande esistono un sacco di ristoranti fichissimi, lo vede dalle vostre foto su Instagram.
Robe che mi parete tutte a Niuiorch, gente. Ma che posti frequentate?
Noi qui al massimo cinghiale in umido, se dico che sono vegetariana generalmente rispondono con sincera afflizione: "Mi spiace. E per quanto tempo, ancora?".
Come una malattia che è piombata addosso dall'alto e da cui prima o poi ti riprenderai, inconcepibile la scelta volontaria.

Insomma Susibita è felice e garrula come una poiana in primavera per questo piccolo diversivo nella quotidianità campestre.
Ha tirato fuori jeans e maglioncini e addirittura la piastra.
E' felice e garrula come una rondinella all'idea di andare in un ufficio dove pare ci sia gente, addirittura delle donne (Susibita lavora nel 99% dei casi con uomini. No scusate, peggio: con uomini, e ignegneri).
E' felice e garrula perché pregusta brevi ma felicissime reunion con amici cittadini.
E' felice e garrula perché per qualche ora non avrà bambini intorno a sé.
Lo so, fa brutto messa così, ma è la vera verità.
E' altrettanto vero che dopo 8 h senza di loro telefonerà a sua madre chiedendo "come stanno? che fanno? s'ammazzano? me li passi?" e che al suo rientro li stritolerà di baci, ancora galvanizzata dalle notti di sonno ininterrotto.

C'è solo un piccolo problema, niente di che: lui s'è portato via l'unico trolley di casa.
Dunque Susibita si presenterà in ufficio per conoscere tutta 'sta nuova gente in zaino Quechua.
Ciò la definirà immediatamente ed irrimediabilmente per quella che essa - invero - è: la nipote quindicenne del gran Mogol, direttamente dal Campus Estivo delle Giovani Marmotte.

11 febbraio 2015

Il Giorno Feriale.

Il problema del giorno feriale è che - per tutto il mondo- è un giorno in cui la gente lavora.
La gente, quel giorno feriale, si aspetta che tu lavori.
La gente non accetta alternativa.
Bambini ammalati? epidemia di scarlattina? le cavallette?
E' un giorno feriale: la gente ti scrive, ti chiama, ti faxa, ti chatta, ti lancia piccioni.
Il giorno feriale imbruttisce tutti, ma le madri lavoratrici single part-time in particolare.

h. 8:50: avvìo del computer.

h. 9:00:
"Mamma accendiamo tv?"
"Certo, click."

h.10.00
"Mamma, abbiamo fame."
"Toh." (lancio di merendina, oltre la schiena)

h. 10.30
"Caro cliente, mi rincresce aver dovuto posticipare la nostra call di ieri su skype ma tornavo allora dalla pediatra che mi annunciava una sospetta scarlattina, avevo fatto il giro di 2 farmacie e 15 tornanti, erano le 12.30, questi c'avevan fame, avevo appena messo su l'acqua ed era impensabile che di lì a 20 minuti io potessi collegarmi, ho avuto un piccolo imprevisto che mi ha trattenuta fuori ufficio..."

h. 11.40
Ma se mi faccio un'altra mano di rosso sui capelli poi devo schiarire pure le sopracciglia?

h. 12.00
"Mamma, abbiamo fame."
"Toh." (lancio di pezzo di hemmental oltre le spalle)

h. 12.50
"Mamma abbiamo guardato troppa televisione e adesso abbiamo mal di testa."
"Cosa? non pensateci proprio: voi ora rimanete lì. Su-su, poche storie, che devo ancora metter su l'acqua."

h. 13.15
ricordatidichiamarel'estetista, ricordatidichiamarel'estetista, ricordatidichiamarel'estetista, ricordatidichiamarel'estetista.

h. 14.30
"Mamma ci leggi una storia?"
"Non potete giocare?"
"Già fatto, ci stiamo annoiando."
"Ma come? domino? domino lo avete provato? dama? il puzzle? supercluedo? trivial pursuit con la marmotta?"
"Mamma ma che dizi?"
"E' l'ultima mail, giuro, poi arrivo."

Non importa quanti libri di Marcello Bernanrdi voi abbiate letto, non importa quanto tempo cosiddetto di qualità voi abbiate dedicato ai vostri figli.
Pirma o poi Il Giorno Feriale arriva, a ricordarvi che la verità è che siete dei mostri.
Orrendi, stanchissimi, pelosissimi mostri.

3 febbraio 2015

5.

Oi, tu.
Dico a te.
Cinque Anni, dico a te.
Te, che sei curioso come la lumachina quando caccia fuori le corna.
Te, con pensieri instabili, irrequieti e veloci come moscerini.
Tu cuore di ape, occhi di foglia.
Tu che non sei più piccolo, né grande ancora.
Che stai lì nel mezzo esatto, gambe indietro e mani avanti.
Lo so che non è semplice ma in un certo qual senso mi serve.
Perché tu possa spiegarmi ancora per un poco cos'è che si prova, ad essere bambini,  giocare con le noci di pesca.
Perché io impari a spiegarti -di qui in avanti- cos'è che si prova, ad esser grandi, e dover proteggere.

Francamente, mi si spezza il cuore.
Non fraintendermi, sono felice per te.
Non voglio fermarti mai.
Peraltro non potrei, anche volendo - perché viaggi spedito, questo è chiaro e pure irreversibile.
Sei un maschio affascinante. Mai visto un maschio così - io- prima d'ora.
Cresciuta in una casa di sole donne, non conosco altro che il femmìneo.
I maschi per me sono arrivati dopo, e avevano già tanta strada alle spalle da non poterli conoscere più.
Ma tu ad esempio -dimmi- cos'è questa mancanza di vergogna e di menzogna che c'hai? la conserverai sempre? tipo quando fai le puzze, -no?- e ci sono lì certe bimbe tue amiche, e tu serafico "Ccusate, sono 'ttato io." La perderai, voglio sperare, o ne conserverai un germe piccolo per te e per i tuoi simili, quando rutterete - maschi e felici- nei vostri covi di adolescenti?
E dimmi, dimmi. Quand'è che la imparerai questa sibilante? Dovrò mandarti da qualcuno o basteranno il tempo  e l'aria calda dell'estate e ci sarà una una mattina in cui ti sveglierai e parlerai così come pensi?
Non so se vorrò ascoltarti, quella mattina.
Scherzo: certo che ti ascolterò, ma ti pare? Ti applaudirò anche, ti farò un sacco di salamelecchi.
Bravo amore, bravo!
Poi mi volterò a bestemmiare per non aver potuto salutare il bambino che eri.

E poi dimmi, dimmi.
Quel tuo modo di ridere, buttando indietro la testa.
Tuo padre ce l'ha ancora, così nutro la speranza che anche tu lo conservi.
Il capitolo orecchie.
Al momento m' irrita moltissimo quando me le pastrugni, fanno cinque anni esatti che non le molli. Prima o poi cederai o pensi di spippolarmi il lobo fino ai 17?
E dimmi dimmi.
I libri, ad esempio. Li leggeremo sempre insieme, suppongo. Perché mi dispiacerebbe tanto, sai, non farlo. Però c'è qualcosa d' intimissimo, quasi sacro, nel leggere da soli, e tu non puoi -non devi- perdertelo.

Quanto al bambino che oggi ti ha picchiato, dovremmo parlarne.
Io sarei per la soluzione dolce: lo appendo per la pelle delle balle e gli faccio il culo a strisce.
Tu saresti per quella fantasiosa: tu che lo minacci millantando di essere un grande "fottissimo, cavaliere", e lui che persiste imperterrito a gonfiarti.
Ma la fantasia con quelli lì non attacca, attaccano i denti invece: mostraglieli, dice tuo padre.
Non ti sta suggerendo di morderlo, ti sta dicendo di ringhiare forte, semmai.
Io credo abbia ragione lui.

E poi quell'altra cosa, quella che mi dà un sacco di pensieri.
Mano a mano che il tempo passa, amerò sempre così o mi darai un po' di tregua?
Cioè ci sarà un momento in cui ti amerò -ok- però diciamo non mi si strapperanno le budella come ora?
E' questa una prerogativa delle madri italiane o succede a tutte?
E -nel caso contrario- esistono dei corsi per genitori che amano ma senza contorcersi gli organi interni che ne so, tipo in Russia?
Ora che le tue mani e soprattutto i tuoi piedi non sono più cicciottosi dovrei vedere già dei risultati tangibili, in tal senso, ma niente. La cosa mi preoccupa, devo essere sincera, perché ci speravo, prima dei fruncoli, la peluria e tutto il resto.

Fammi sapere che ne pensi, in generale dico.
E nel particolare, per quel tuo compagno piscialetto che s'è azzardato a metterti le mani addosso.

Tua, mamma.









21 gennaio 2015

Le drammatiche conseguenze dell'aSOCIALità.

Mia madre ha tipo 43 paia di occhiali, ma non importa quanti siano, tanto sono comunque tutti persi o irriperibili alla bisogna.
Ma non volevo parlare degli occhiali di mia madre.
Volevo parlare del fatto che mia madre ha scoperto whatsupp, il che di per sé non è preoccupante.
Lo è invece il fatto che non abbia gli occhiali.
Perché adesso, oltre whatsup, mia madre ha anche varcato il fantastico mondo dei messaggi vocali.

I messaggi vocali e mia madre sono IL MALE.
Pare l'Agente Cooper, ve lo giuro.
Ve la dovete immaginare, su alle stalle alle 5 del mattino con gli stivali infangati:




Primo messaggio (lenght: 30 sec): "Buona notte ai tesori miei, mi spiace che state tutti male, vi amo tantissimo, pciù-pciù."
Secondo messaggio (lenght: 2'') - delirio nella chat di gruppo condivisa con me e mia sorella e riassunto dell'INTERA telefonata con me: "Allora ho sentito Susi, lei 37.3, loro 38.5, l'altro 40. Dopo chiama la pediatra ma SECONDO me deve fare una lastra ai polmoni al bimbo. Lei ti dirà che ESAGERO ma mi sembra la cosa più normale di 'sta terra..."
Terzo messaggio (text): .ai. HUM. DCNIXX999WWWL.
Tentativo di scrittura senza occhiali.

Si attendono a breve i seguenti:

"HHHiiiiiii!! E chi ha mangiato il ragù al cinghiale che era qui sul bancone, eh?? EEHHH?? Tu, zoccola con le zampe che non sei altro. Brutta porca pelosa. Tu non sei un cane, sei una latrina sei! Vieni qui che ti torco il coll....!!"
Messaggio vocale inavvertitamente partito in seguito a grave incidente domestico.

"Allora Susi, GIA' CHE SEI AL SUPER mi dovresti prendere 8 kg di patate, 3 rape verdi che le faccio sulla stufa quando vieni venerdì,  5 cassette di peperoni che li ho finiti e sai che io senza verdura, ah poi te l'ho detto che a GEO&GEO dicevano che i peperoni contengono più vitamina C delle arance, lo sapevi? poi 12 uova e 10 l di latte, lo zafferano, qualcosa di carne ma non so bene vedi tu, quando sei lì davanti al banco chiamami se c'è qualcosa in offerta. Ah e se trovi qualcosa per il bimbo che compie gli anni che io lo sai abito qui in culo ai lupi e dove lo trovo un regalo? Niente, E POI BASTA."
Messaggio vocale che verrà sistematicamente ignorato.


Comunque come i social non ce n'è, vedi un po' mia madre ora come sta connessa col mondo anche dalle stalle.
E non vogliamo parlare di quelle come me, segregate in casa con minori ammalati.
Immaginate se non avessi instagram e non potessi seguire le social-risse tra animaliste e fashion blogger impellicciate. Son tragedie vere -gente- siamo seri.

No davvero, la farmacista stamattina è stata il primo incontro ravvicinato e reale con un adulto dopo 56 ore.
Voi non potete capire il mio sguardo, tipo border collie in astinenza da pallina.

"E quindi, eh? eh? Dica, dica."
"Hem, no nulla, lo prende 1 volta al giorno tutti i giorni per un mese e rinforza il sistema immunitario..."
"E a casa? tutto bene a casa? Dica, dica. Il weeekend? Che fa nel weekend? Dica dica."

Datemi una pallina, una fescion blogger, un'ambientalista, Gasparri.
Mario Adinolfi - perdinci - qualunque cosa.
Ma non lasciatemi qui da sola.

15 gennaio 2015

Pazzie.

H.21:00 - chat online da sotto il piumone (in due città diverse).

"Allora cosa ne dici della mia proposta?"
"Non so, non ti sembra eccessivo?"
"Eccessivo? Spudorato? Eccitante? Bè un po', sì. Però non lo facciamo mai, dai... ti prego, mi sento già un brividino che mi parte dalla cervicale, guarda."
"E sia! vai. Mi hai convinto. Lanciamoci."
"Sìì??? -squittìo eccitato -ssìì, che bello! Non vedo l'ora!"
"Davvero? ma non me lo chiedi mai, di solito."
"Sì lo so ma questa volta è diverso, sento il bisogno di qualcosa di nuovo, al limite del peccaminoso: una pazzia."
"Uh, Susi..."
"Uh, uh! che vuoi fare? non ci posso far nulla. Mi sento una liceale coi brufoli, ma 13 anni più vecchia."
"Allora buonanotte, a domani."
"A domani, sì: domani!! Notte."

h. 23:00.
Temperatura interna del piccolo: 39.7.

Avete assistito a:

"Volevamo solo mega-birrozzo, rutto libero, Pride al secondo spettacolo, bimbi dalla nonna."

13 gennaio 2015

Le cose che restano, e quelle che arrivano.

Lui gioca coi Lego Chima, fa la cacca sfogliando il catalogo Lego Chima, sogna il suo compleanno e nuovi personaggi Lego Chima.
Lei cavalca moto, offre passaggi a suo fratello, mi bacia dal mento fino alle orecchie facendomi il solletico.
Io ho tagliato i capelli.

E niente, tra poco i Golden Globes, poi Sanremo, gli Oscar, Pasqua e ormai le maniche corte.
Alcune cose non cambiano mai, tipo io in questo 2015 ho già dimenticato Nina al nido e siamo solo a Gennaio.
Altre invece.
La verità però è che i capelli sono il cambiamento più piccolo e meno evidente.

Tanto per cominciare NonnaPensaciTu, anche detta LaSuocerachetammazza, ha preso il treno per tornare a casa.
Salutandomi mi ha detto "devo ringraziarti perché sei sempre gentile e piena di attenzioni. Mi avete fatto passare un Natale pieno di gioia, tu e i bambini: siete bellissimi. Chissà come mi mancherete, domani."
Susibita, che 1 minuto prima stava così:



E' rapidamente passata a questa fase qui:



E niente.
Ha vinto lei, tanto per cambiare.


Poi io ho la testa piena di idee, una roba mai vista, vi dico. Che devo svuotarla nello scolapasta, addirittura.
L'altra cosa - in quello che mi aspetta - è che sono sola.
Ma non sola che ho paura, che mi sento fragile, abbandonata o che.
Nono.
Sola che me la faccio nelle mutande, ma un po' ghignando.

Tipo così:



Buon 2015 a me.





3 gennaio 2015

dediche.

Il primo post del 2014 lo dedico a mia suocera, che entro le prime 24 h di presenza in casa rischia grosso ( ora di arrivo: 17.30. Ore 21: "Adesso levamela di torno o m'attacco alla dentiera e tiro forte ") e poi si riscatta giocando a dama coi bimbi, rubando una scala da fienile e rientrando dalla finestra  perchè s'è chiusa fuori.

Lo dedico a quel nerd di mio figlio, 5 anni non computi, che si spara tutorial online su come comporre i veicoli Lego chima.

Lo dedico a Nina che sa parlare e comincia a farsi capire una mezza fava in piú, e comunque è intonata.

Lo dedico a Lui, che è pazzo e orgoglioso e sta in fissa con la reclette: la pulisce, la riordina e ormai parla solo di quello.

La dedico a me, che fingo (male) che non faccia piú male, che fingo (bene) di non aver paura, che ho tante idee e che comunque -mal che vada- sono intonata.
Lo dedico a me, che non voglio piú scappare ma mi sento già sfuggire, però mai da qui dove la notte incontro la volpe, il tasso o la civetta.
E voi se non lo sapete ve lo dico io com'è ch'è fatta una volpe: è fatta di Bellezza ed è fatta di Paura e anche di qualcosa di molto muschioso e fragile che è Selvatichezza.
Ed io se non lo so me lo  spiego da me com'è che sono volpe.