24 maggio 2016

Programmi per il futuro.

Nina cosa vuoi fare da grande?

"La dottoressa degli animali.
No, l'insegnante di nuoto.
No, apetta, la fatina.
No, apetta, il bagnino macchio. Sì, il bagnino macchio va bene."

E tu, cucciolo?

"Io voglio fare l'Umpa Lumpa, mamma."





Vince lui, a mani basse.

19 maggio 2016

a qualcuno dovevo pur dirlo.

Il biondino studia Pompei, Ercolano e i calchi degli antichi romani, coltiva il sogno ed il timore di vedere, un giorno, il Vesuvio.
Susibita è in piena sindrome mestruale e piange di spaesamento e nostalgia per la mail in cui sposta Nina in un nuovo asilo.
Nina ha una nuova amica immaginaria: è una fata con cui si danno pesanti bordate e che si chiama Luigi. ("Mamma la fatina Luizi mi ha fatto male!!")

Che maggio sarebbe stato duro si sapeva, ma col ciclo è pure peggio.
È la seconda notte che mi rifugio nel loro lettino e a qualcuno dovevo pur dirlo.



12 maggio 2016

Cose che si sentono spiando.

Così lui, disteso accanto a lei sul letto, fuori dalle coperte:

"Non piangere, non essere triste. Io quando sono triste sai che faccio? Penso a una cosa bella."
"A cosha pensi, papà?"
"Penso a mamma."
"Anch'io."
"Sai che mamma ti ha fatto lei?"
" E tu no?"
"Io anche, ma solo un pezzettino all'inizio, il lavoro grosso lo ha fatto mamma. Non so come abbia fatto: noi maschi non siamo capaci. Lei invece mentre mangiava, dormiva o rideva, ti faceva.
Quando andava fare la spesa ti faceva questo piedino qui, mentre guardava la tv ti faceva questo nasino, mentre leggeva i libri ti faceva la tua bella testolina, e quel giorno che girava il sugo ti ha fatto queste labbra rosse qua."
"Anche gli occhi?", si caccia il dito negli occhi.
"Sì."
"Pure i capelli?", si tira una ciocca.
"Sì, tutto. Ma non so come abbia fatto."
"Io sì, che lo so."
"AH sì? e come?"
"Mi ha disegnata, e poi mi ha lassiato assiugare."




[a codesto punto quell'altra, quella affacciata a spiare, prendeva e gettavasi sul letto in lacrime]





5 maggio 2016

Dev'esser stato allora.

Dev'essere successo intorno ai sei anni.
Probabilmente avrò visto mia madre, nella penombra umidissima del primo pomeriggio, sdraiata sul letto con un libro in mano.
Ho un ricordo annebbiato di quegli anni africani sotto l'equatore: le magliette di cotone fresco che si afflosciavano dopo pochi minuti, gli scuri e le tende tirate, la semioscurità perenne di certi  pomeriggi eterni, coi moscerini intorno alla polpa emaciata dei manghi spiaccicati sul vialetto, il gatto boccheggiante all'ombra di qualche pianta verdissima ed enorme.
Una volta l'anno, partita dalla provincia a ridosso del confine svizzero, veniva a trovarci mia nonna: sorvolava il mediterraneo, attraversava mezz'Africa - lei che per viaggio di nozze era andata nel Varesotto, a 20 km da casa, presso le zie nubili di suo marito, quello bello come il sole e somigliante a Vladimir Ulyanov Lenin - e stava lì, su un terrazzino alle spalle dell'Atlantico, con 40 gradi e 99% di umidità, seduta su una poltroncina accanto al condotto del climatizzatore che buttava fuori aria calda, con un libro in mano.
Mia nonna leggeva la saga di Sho Gun, magari la Deledda o un vecchio Hemingway di mia madre.
Mia madre, lasciati in Italia certi libri di politica, leggeva Herriot, Sepulveda, Neruda, Eco, la saga di Sho Gun.
Sì credo sia stato allora: devo essermi annoiata drammaticamente.
Devo aver guardato quelle due terribili donne e aver fatto i miei calcoli.
Rispetto alla libreria dei miei figli, la mia di bambina faceva ridere.
Il primo libro che ricordi, non dico "Il leone e gli animali della savana" che tuttora conservo, dico il primo romanzo, fu l'Alice di Carrol: è andato perso e non l'ho amato per molti anni successivamente, avendolo solo di recente rivalutato grazie a quel dannato genio di Tim Burton; tuttavia ricordo le coperte di cotone ruvido sulle cosce, il lento sfogliare a pancia in giù, tra il bianconiglio e la lepre marzolina. L'inquietante imprevedibilità della regina, l'imbarazzo verso il bizzarro e l'ambiguo, il bislacco e il nevrotico.
Dev'essere stato allora, tra le zanzare e qualche lento buffare sulle foglie di palma, lunghe come lame.
Dev'essere stato allora che, senza amar la storia, m'innamorai dei libri.