23 aprile 2015

Il bullismo in età prescolare: da Hallospank a The Avengers.

Quando avevo 11 anni mi mandarono all'ospedale, furono un compagno cattivo di 11 e uno buono ma sciocco di 13.
Per diversi mesi ebbi paura vera, e cominciai a credere di non potermi difendere da sola.
Mia madre fu, in quei giorni e nei mesi successivi, la roccia pronta a difendermi e dietro cui nascondermi.
Poi una mattina non molto diversa dalle altre, per una ragione non più grave delle altre, schiaffeggiai uno più grande, minacciandolo di torcergli il pisello e infilarglielo nella presa elettrica.
Da quel giorno -puf- niente più mani addosso.
Mi avevano un po' esasperata.

Dicono che ai buoni non bisogna dar fastidio, che diventan pericolosi.
Io non sono diventata una gran forza della natura nel frattempo, e certe cose ancora oggi sanno ferirmi profondamente. Se nasci con la testa con cui sono nata io, non sarai mai immune al dolore.
Però quel giorno in cui la mia mano si è sollevata qualcosa è scattato.
Non ho più aggredito qualcuno da allora, ma la differenza io la conosco e sta tutta qui: che, all'occorrenza, so di poterlo fare.
Che dentro di me c'è un angolo, una specie di piega che fa il mio corpo, oltre la quale quello non si fa più toccare. E' uno svincolo che ho imboccato solo una volta, ma so di ricordare perfettamente dove sta.

Quando lui mi ha raccontato della carota-giocattolo puntata alla gola, dei tre che lo hanno preso e tirato, di quando è stato cacciato dai giochi, di quando è stato provocato, non lo ha fatto tutto insieme: gli episodi si sono susseguiti a distanza, senza che inizialmente lui accusasse un disagio particolare.
L'ho sempre lasciato parlare, gli ho sempre creduto, non ho mai minimizzato.
Ma inzialmente ho anche fatto domande, provato a contestualizzare, a renderlo responsabile di sé oltre al classico "dillo alla maestra", di tenersi a distanza e far gruppo con gli altri, perchè i bulletti - o meglio, gli atteggiamenti bulletti- vanno isolati. Soprattutto, di raccontarmi sempre tutto, e non vergognarsi di nulla.
A un certo punto il quadro si è ben delineato, lui a casa mi ascoltava ma non sembrava capace di reagire sul campo.
Ogni contesto ha le sue regole scritte e non scritte: la scuola dei nostri figli, rispetto a quella degli anni '80 in cui sono cresciuta io, è fortunatamente qualcosa che appartiene molto di più anche a noi genitori, ma è inutile negare che sia principalmente territorio loro: lo spazio in cui si muovono ogni giorno senza di noi, di cui loro -non noi- conoscono istintivamente le dinamiche interne.
Mi sono ricordata dei miei 11 anni, gli ho detto: ok, vengo a scuola e vediamo di sistemare la faccenda.
Ho parlato con le maestre, lui si è rasserenato in pochi minuti.
Avevamo un piano, una strategia approvata su tutti i fronti.

Quello che ho detto a mio figlio in un primo tempo mi ha fatto vacillare in alcune certezze, dato che ho passato gli ultimi 4 anni a pregarlo: "non usare le mani, parlami. Parla, bambino. Parla a tua sorella, parla a me, P-A-R-L-A, comunica perdìnci: le sberle o i capelli tirati mi dicono solo che sei arrabbiato, non il perché."
Ma avevo in testa i miei 11 anni, e gli ho detto per la prima volta una cosa diversa.
Che il suo corpo sa fare cose meravigliose: abbracciare, accarezzare, consolare. 
E difendere.
Che le sue mani, le sue gambe, possono e in casi estremi DEVONO opporre resistenza, avvertire, o addirittura colpire.
Che tre contro uno non è forza: è vigliaccheria. E in quel caso parlare conta poco.
Che quei tre non si esauriscono lì, negli anni si evolveranno o incapperà in emuli di ugual fatta, per cui è bene imparare a gestirli prima possibile.

Sdoganato il confronto con la maestra, assimilata l'informazione che non sarebbe stato sgridato, che difendersi non è aggredire, che proteggersi non è far violenza, l'Avengers che era in lui è ora un cane sciolto.

Il primo giorno ha letteralmente tirato fuori i denti al primo spintone di P.
Pare non sia andato a segno ma che abbia gridato motto fotte: "hei tu, io sono (nome), il bambino più bavo della ccuola (??) e quetta è l'uttima votta che mi picchi!".
La mitologia sviluppatasi attorno all'eroico episodio ha presentato varianti nella dislocazione di luoghi, tempi e talvolta personaggi ("M.? non hai detto che era stato P.?" "Ah zà, è vero.") e nel dipanarsi di ramificazioni ulteriori nei giorni successivi: "ho sàvvato S., perchè M. la ttava picchiando. Mi ha femmato solo la cuttode, quella zitrulla." "La vostra custode non è una citrulla, e vedi di non farti prendere la mano, vecchia canaglia.") tanto che non posso dirmi completamente certa di quanto sia vero e quanto inventato.
Il dato positivo è che lo vedo più sicuro di sé, più sereno, come se quel certo svincolo l'avesse imboccato anche lui.
Pure un tantinello galvanizzato, forse.
"Ho naccotto la mia enomme capazità di difendemmi, mamma."
"Perchè?"
"Potei fare del male  Nina."
"Humm. e quindi? se incontri di nuovo i prepotenti come fai?"
"Non peoccuatti. E' al sicuro."

Sulla mensola, dentro alla scatola dei fossili qui in camera, c'è un pote(r)e enomme pronto a scatenarsi e fare stragi contro P. , M., i loro servili scagnozzi i Mangiamorte o L'Impero, solo in caso di bisogno.
Ed è lì, tutta la sua forza.

13 commenti:

Alem ha detto...

Capitato anche a me.
Con la piu' grande che ho dovuto proteggere da gruppetti di bambine cattive, ebbene si esistono.
Con il piu' piccolo che è speciale, sensibile, fragilissimo.
Lui non racconta pero' lo fanno le maestre. Lo lascio nella jungla la mattina e lo ritrovo a casa con una lingua affilata che nemmeno io saprei fare di meglio.
Usa le parole, gliel'ho insegnato io. Per ora alla materna riesce a sorprendere con ironia, cazzeggio e l'uso perfetto del congiuntivo, alle elementari gli diro' di chiamare sua sorella, che invece è allenata a ben altro.

Dovehovistote b ha detto...

Mi piace molto la distinzione che hai sottolineato per quanto riguarda l'uso della forza!

Ps è quando a fare la prepotente è l'insegnante, e le chiedi chiarimenti e lei dice che non c'è niente da chiarire? :-(
Ecco perché sto cercando di insegnargli a difendersi da chi è autoritario...

raffaella ha detto...

Noi gli diciamo di non colpire mai per primo ma che se dovesse essere preseo di mira, di difendersi con le unghie e con i denti. Per adesso, essendo mingherlino, gioca di astuzia e aspetta al varco, quando gli altri meno se lo aspettano. Non so se sia una buona tattica, ma per ora, è il suo potere. E' sempre un piacere leggerti.
Raffaella

ioticerco ha detto...

Non ho figli, e di conseguenza nessuna esperienza. Ma mi sarei comportato esattamente come te nello spiegargli cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa fare e perchè farlo, spiegargli che bisogna anche sapersi difendere. I bambini sono intelligenti, sanno distinguere e riconoscere.

Susibita ha detto...

Alem: chissà, poi comunque negli ani i bimbi cambiano. In ogni caso i miei l'anno prossimo saranno alla materna insieme, quindi potranno far squadra ;).


dovehovistote: bè in quel caso è più difficile. E anche più brutto, perchè che un compagno sia prepotente è fisiologico, che lo sia la maestra che è il punto di riferimento e di appoggio, meno.

Raffaella: ogni bimbo sviluppa le sue tattiche personali, evidentemente per lui è la migliore al momento. Fidati di lui =).

ioticerco: grazie. Non è sempre semplice, mi sono chiesta se avessi sbagliato prima o se stessi sbagliando in quel momento lì. Confrontarmi con le maestre e anche qui con altri genitori e non mi aiuta, come sempre.


Anonimo ha detto...

Anche mia figlia, creatura dolce e coraggiosa, sensibile e meravigliosa, ha i suoi problemi a doversi difendere dagli atteggiamenti bulletti di un paio di sue compagnette dell'asilo, a cinque/sei anni già sfiorite nella più becera ignoranza e vuoto mentale.
Purtroppo in lei non è ancora scattata la molla della difesa: para i colpi, le esclusioni, le parole cattive, ma piange e si dispera perchè non capisce il perchè di questo loro accanimento verso di lei, che vorrebbe solo essere loro amica.
E' più di un anno che passiamo parecchio tempo dei nostri pomeriggi a parlarne, e a me si sgretola il cuore a non riuscire a trovare il modo per proteggerla; per aiutarla a trovare le sue armi che la aiutino a difendersi da queste bullette. Grazie per le tue parole che cerherò in qualche modo di fare mie, e mi auguro che anche mia figlia prima o poi sia capace di costruirsi uno "svincolo" cui ricorrere quando serve.
Daria

Susibita ha detto...

Cara Daria, siccome sono una che come dicevo all'ospedale c'è finita, e che credo alla tenera età di 11 potesse per l'appunto essere definita creatura dolce e sensibile come tua figlia, ecco.
Ti dico: le creature dolci e sensibili sono dolci e sensibili, spesso vulnerabili, ma non per questo fragili.
Mi aiutò, ai tempi, vedere la forza di mia madre, sentirle dire che valevo e che POTEVO difendermi. Ci ho messo il mio tempo, che non è stato né un giorno né una settimana, però quella forza piano piano l'ho trovata.
Sono sicura che quando anche lei la scoprirà sarà come una piccola rinascita. Devi solo mostrargliela nel modo più semplice, come stai facendo: dirle che esiste, esserne tu stessa fiduciosa.
Credo, eh. Non sono una psicologa o esperta comportamentale, ma per me ha funzionato, nel tempo.

Susibita

Anonimo ha detto...

Non sarai psicologa, nè esperta comportamentale, ma credo che tu abbia esettamente colto nel segno.
Anche io sono consapevole che il mio fiorellino sia delicato, ma non fragile.
Mi auguro di essere capace di sostenerla nella maniera più adeguata...
Ti ringrazio infinitamente per le tue parole, e soprattutto per la tua sensibilità e delicatezza.
Mi hai fatto bene, molto.
Quindi grazie,
Daria

Susibita ha detto...

Daria: grazie, sono davvero felice di avere offerto una spalla a qualche riflessione che ti è stat utile. Mi sono dimenticata di aggiungere che nel caso del mio piccoletto ho trovate fondamentale il dialogo con la scuola e con le maestre, il poterne parlare confrontandomi con loro e il decidere INSIEME una strategia comune e coerente scuola-famiglia.

Susi

Anonimo ha detto...

Il problema è che queste cose si verificano al parco DOPO l'uscita da scuola.....
Daria

Susibita ha detto...

Daria: ah beh allora no, bisogna trovare una soluzione alternativa.
A me questi bambinetti e queste bambinette che descrivi mi stanno già sulle balle. Ma non può semplicemente non giocare con loro? trovare amici più simpatici e gentili? magari in un altro parchetto, o altrove insomma.
E questi bulletti che se ne stiano lì, da soli.

Anonimo ha detto...

Infatti, è quello che le ripeto io!
Che considerando i soggetti dovrebbe essere LEI a non voler giocare con loro!
Il fatto è che il parchetto è quello nelle immediate vicinanze dell'asilo, dove ci vanno (quasi) tutti i bimbi, e quello che lei proprio non riesce a capacitarsi è l'esclusione in sé.
A volte cambiamo parco, ma è molto meno frequentato e a volte gioca da sola e si annoia.
Noi viviamo a Roma, dove la prevaricazione, la prepotenza, la "furbizia" e spesso la crassa ignoranza la fanno da padrone (basta vedere come si sta riducendo la città...), e trovare persone affini in un contesto ristretto come la scuola di quartiere non sempre è facile.
Ovviamente noi non molliamo!
Grazie per le tue parole, e per la sensibilità dimostrata!
Sembri essere una persona speciale :-)
Daria

Susibita ha detto...

Ciao daria,
certo immagino tu faccia già il possibile compatibilmente con gli impegni di tutti e il contesto in cui state.
Non crucciarti troppo, stai facendo di sicuro un buon lavoro, col tempo verrà fuori tutto.
un abbraccio a te e soprattutto alla piccolina.

Susibita