19 ottobre 2015

L'apiculi, il ranocchio e la falena.

Nina ha un amico immaginario.
Non ve l'ho mai detto, ma si chiama Apiculi. O L'Apiculi. O anche Lapiculi. Non c'è dato sapere perché  Nina non sa fare lo spelling, però sappiamo che è a forma di pesce.
Sappiamo anche che Apiculi (o l'Apiculi, o Lapiculi) soffre di bipolarismo, o forse che in realtà e uno e bino perché ne esistono due versioni gemelle, ma molto diverse.
Uno è buono e vive con Babbo Natale, l'altro imbratta i muri di casa coi gessetti e vive con Babbo Natale Cattivo, oppure anche appollaiato con le streghe sugli alberi qua fuori dalla cucina.
Nina è una bambina pazza, viziata, prepotente e bellissima.
Lentamente ma inesorabilmente, ci sta fottendo tutti.

Magù è troppo grande per chiamarlo ancora Magù, ma ancora piccolo da raccogliermisi - a fatica- in braccio.
L'amore che provo per lui è spaventoso, tanto che bisogna che ne prenda le distanze a volte, e attendere che sia addormentato per baciarlo.
Perché non è un bene che un bambino conosca quanto profondo può essere l'amore di una madre, quanto spaventosamente grande.
Un bambino - mi dice qualcosa dentro - deve intuire la forza di quell'amore, non rimanerne schiacciato. Deve sondarne la grandezza, non esserne risucchiato.
Non so ancora come lo chiamerò, adesso che ha le gambe lunghe come un ranocchio.


Mia suocera qualche volta mi dice che non dovrei tirarli su senza spiritualità.
In realtà lei vuole dire senza religione, ma si confonde -credo- e di molto.
Io ho poca religione, ormai, e tiro le cose un po' a caso sul mio spirito.
Non so da dove venga, non so esattamente come parlargli.
Invidio le preghiere altrui.
Mi mette molto in pace ascoltare chi prega, i sussurri degli uomini soli con Dio.
Sarà per questo che non mi arrabbio quando sento che mia suocera mettendoli a letto gli fa fare il segno della croce. Loro, ridicoli, si segnano con la sinistra e fanno un gran gesticolare, ma ricordano i versi del Padre Nostro e le loro voci bambine hanno quel po' di sacro e d'inconsapevole che l'età non ha ancora violato.
A me non piace moltissimo non avere nessuno da pregare: penso sia una bella grana, in fin dei conti.
Però non è che si può scegliere di pregare solo per non avere grane, io credo.
Ascoltare la voce mia medesima poi, è senz'altro un grattacapo.
A volte però mi parte un pensiero laterale, tipo stanotte.
Stavo precipitando, no? e questo pensiero mi ha tirata su.
Il mio pensiero diceva così: che le decisioni sono mie e a molti o alcuni altri non piaceranno.
Che uno non fa scelte solo sulla base degli orari del treno, per dire qualcosa di oggettivo e terzo.
Uno le fa sulla base di qualcosa che ha dentro, il magma indefinito e non circoscrivibile delle proprie idee, delle proprie esperienze, dei propri ricordi ma soprattutto dei propri sogni.
Che dentro il mio corpo, e in special modo dentro la mia anima e  coscienza, ci sto io soltanto.
E che io- anche quando mi dibatto come la falena contro il vetro- lo so bene, cos'è che voglio.
Questo mio pensiero aveva l'aria di uno che sa quello che dice, così l'ho ascoltato.
E finalmente - senza dibattermi più- ho chiuso gli occhi e dormito.


9 ottobre 2015

Old friend, good friend.

Tu hai qualche problema, mi ha detto.
No, io ho UN problema, ho risposto io.
E questo mio problema è sempre lo stesso.

Mi spiego: io e Problema ci conosciamo da molti, molti anni.
Problema ha molte facce, ma un solo volto.
Il primo ricordo che ho di lui è una stanza gialla, a un festa di bambini, quando ancora vivevamo in Africa. Cercavo disperatamente mia sorella perché mia madre non c'era e questo era un grosso, grossissimo Problema. Qualcuno mi disse "gioca con gli altri, tua sorella è di là che si diverte" ma io non potevo. Io avevo un Problema.
Problema mi lasciò in pace qualche tempo - un tempo che ricordo infatti molto felice- ma appena tornammo in Italia mi toccò una classe di 29 bambini sconosciuti e una maestra d'altri tempi, e fu lì che incontrai di nuovo Problema.
A Problema piaceva molto travestirsi e cambiare nome.
Nel corso degli anni l'ho incontrato sotto le spoglie di Tabelline, Maestra M., Divisioni, compito di geografia su alta e bassa pressione.
Un giorno passavo per caso e c'aveva proprio la faccia di Papà che parte.
Qualche settimana dopo era Algebra,  Grasso e Peli Superflui, Geometria Descrittiva, Studio di Funzione.
Spessissimo Problema andava a braccetto con Giudizio.
A un certo punto, colta da un lampo d'intuizione, se a Problema piace moltissimo la matematica -pensai- mi dedicherò ad altro.
Problema cominciò quindi a parlare Greco Antico e Latino.
Genio.
Problema è stato anche Cambiamento, Soldi, Casa, Lavoro.
A un certo punto Problema è rimasto incinta.
Vi dirò, col tempo ho anche smesso di odiarlo, Problema.
A volte lo coccolo, mi fa quasi tenerezza.
Ecco io credo che qui stia il punto, il mio errore più grande.
Problema non è uno da coccole. E' uno che se lo lasci fare si prende tutto, lo stronzo.
Si prende le mie giornate al mare e le riempie di paura, si prende le mie notti e le riempie di angoscia, si prende la mia bellezza e la colma di dubbi.
Problema calpesta il mio tempo e lo insozza come uno straccio da niente.
Problema mi ha mentito per un sacco di tempo e per anni ho creduto a tutte quante le sue facce.

Problema a tratti ama stare al centro dell'attenzione, per brevi periodi sotto le luci della ribalta dà il meglio di sé ma in verità mi sono fatta l'idea che è nell'anonimato del tempo che cresce, che è dello sforzo d'ignorarlo che si alimenta.

Dunque io credo di aver un solo piccolissimo vantaggio, in questo momento, dopo ben 36 anni: che posso riconoscerlo.
Se mi sforzo, se mi concentro, se mi estraneo, lo vedo.
Magari non me ne accorgo subito, all'inizio mi sembra sia davvero un problema come un altro ma poi dentro di me un campanello squilla ed è allora che lo vedo - è lui- ci risiamo, è arrivato: Problema.
Ma se in quel momento non mi faccio prendere dal panico e resto salda a me stessa, se al posto di Paura faccio posto a Fiducia, se invece che quella palla al cazzo di Commiserazione lascio parlare Leggerezza, allora ho una possibilità di vederlo per quello che è: uno di quegli uomini bassi che si mettono i tacchi.
Problema, a guardarlo da vicino, dritto negli occhi, è piccolo.